Le ultime carte che compongono l’attuale Fondo Leiber giunsero in Archivio nel 2007, come si evince dalla trascrizione di una testimonianza di P. Pierre Blet S.J. recante quella data. Ma il Fondo aveva assunto la sua configurazione definitiva nel 2001, allorché il Rettore Franco Imoda S.J. trasmise una serie di documenti (fra i quali l’indice analitico dell’epistolario) all’Archivio. Grazie agli sforzi del Prof. Paul Oberholzer S.J. – che sta portando a termine l’inventario delle lettere – e a quelli, più recenti e imperfetti, di chi scrive, il ricercatore può oggi avventurarsi nel labirinto dell’archivio avvalendosi, se non di un filo (un inventario completo), almeno di una prima indicazione segnaletica. Ma cosa contiene, esattamente, il Fondo Leiber? Partiamo dalle date.

P. Robert Leiber S.J. (Deggenhausertal, 10 aprile 1888-Roma, 18 febbraio 1967) fu dapprima consigliere del nunzio apostolico Eugenio Pacelli in Germania (1924-29), quindi segretario particolare dello stesso Cardinale Pacelli alla Segreteria di Stato e infine segretario di Papa Pio XII. Questi dati, da soli, illuminano l’importanza del Leiber testimone – ma non solo testimone (dalle carte emerge il suo contributo nella stesura dei concordati stipulati dalla Chiesa con Baviera, Baden e Prussia, e infine direttamente con la Germania nazista) – della lunga e controversa carriera di Pacelli ai vertici della Chiesa. Inoltre, Leiber fu finissimo conoscitore (collaborò con Ludwig Pastor nella stesura degli ultimi volumi della Storia dei Papi) e insegnante (in Gregoriana) di storia della Chiesa, impegno illustrato dalle numerose note bibliografiche e dagli appunti per le lezioni conservati in archivio. Ma dividere questi due lati della sua opera e testimonianza ci sembra fuorviante. Una ricerca sistematica del Leiber uomo di Chiesa, politico e studioso dovrebbe sfruttare la ricchezza del materiale messo a disposizione da APUG per indagare – analizzando, ad esempio, le diverse redazioni dei concordati tedeschi, nonché le note vergate al margine di una copia dei Patti lateranensi (fig. 2),

anch’essa conservata in archivio; e ancora: confrontando la visione leiberiana della Chiesa, quale emerge dalle sue lezioni e riflessioni, con l’’azione’ del consigliere di Pacelli – il contributo dello storico nell’elaborazione delle proposte politiche, e, viceversa, la prospettiva politica contingente da cui il professore di storia rileggeva la vicenda lunghissima (oggetto prediletto dei suoi corsi) delle relazioni fra Chiesa e Stato. Un esempio concreto: il Fondo conserva diverse bozze di articoli apparsi anonimi su riviste e giornali cattolici a partire dal 1932. Alcuni di essi possono essere agevolmente attribuiti a Leiber. Questa produzione ‘nascosta’ offre una prospettiva inedita ed estremamente promettente per indagare la connessione (e chissà, magari le tensioni) fra i diversi ambiti dell’attività di Leiber. Che si risolvono, a ben ben vedere, in un unico ambito e problema, condensato nell’espressione “die Konkordatsfrage” (dicitura sotto cui è raccolta gran parte della sua produzione, edita e inedita, ufficiale e anonima, dal 1927 sino al 1963). Torniamo un momento al problema delle date.
Secondo la testimonianza di Blet, risalente a una conversazione che quest’ultimo ebbe con il diretto interessato nel 1965, Leiber distrusse tutte le carte precedenti il 1944. L’archivio (che pure serba traccia dei tagli compiuti su agende e rubriche telefoniche degli anni 1939-48) smentisce tale affermazione. Note per le lezioni, appunti (spesso in tachigrafia), rubriche con gli esercizi spirituali, lettere, ritagli di giornale, articoli, bozze – il materiale che va dal 1919 circa al 1944, seppur numericamente inferiore al resto della documentazione, è consistente. Sembra lecito ipotizzare, inoltre, che l’anno in cui – e intorno a cui – lo stesso Leiber riorganizzò almeno parte di quella documentazione più antica fosse il 1963. Non è raro imbattersi in carte datate 1933 sfogliando un faldone successivo di trent’anni. La ragione di questa apparente incongruenza può essere spiegata come segue: nel 1963, in seguito all’uscita della pièce Il vicario (nelle lettere e negli appunti conservati in APUG si fa riferimento non soltanto alla sua rappresentazione berlinese, ma anche alla pubblicazione, con “appendice storica”, del dramma di Hochhuth) e, più in generale, con l’acuirsi della polemica e discussione pubblica sui rapporti della Chiesa con la Germania nazista (vedi in particolare le note e lettere di Leiber sui lavori di Carl Christian Amery e Karlheinz Deschner), l’ex consigliere di Pacelli sentì il bisogno di pronunciarsi – e talvolta fu espressamente invitato a farlo – sulle vicende di cui fu testimone.
Il contesto in cui ciò avvenne, come ovvio, non è neutro. Sono gli anni del Concilio Vaticano II e di una profonda discussione critica e autocritica all’interno della Chiesa (nel novembre del 1963 il cardinale Bea pronunciava, in sede di Concilio, un discorso che “rovescia[va] l’atteggiamento ancora tradizionale della Chiesa nei confronti degli Ebrei” (Gemma Volli, 1963); in quello stesso anno, la Chiesa poneva fine al culto del Beato Simone da Trento, e non è inverosimile – lo suggerisce, ancora una volta, la compresenza, nello stesso fascicolo, di carte degli anni Trenta e Sessanta – che l’anonimo dattiloscritto antisemita sull’“Omicidio rituale degli Ebrei” (1939) conservato fra le carte di Leiber sia stato riesaminato dallo stesso Leiber nell’ambito della discussione che portò allo scioglimento del culto di Simonino). Ma sono anche gli anni del Processo Eichmann (1961) – il Fondo conserva lo stralcio di un discorso di Leiber sul processo – e dell’irruzione del tema “Olocausto” sulla scena del dibattito pubblico internazionale.
Inutile sottolineare l’importanza di questo materiale per uno studio del posizionamento della Chiesa (e della Compagnia di Gesù, in particolare) nei confronti della persecuzione e dello sterminio ebrei, nonché delle strategie adottate per rispondere alle accuse che venivano mosse, in quegli anni, alla figura e all’operato di Pio XII. Tuttavia, il Fondo Leiber – come ogni documentazione poco studiata – non offre solo risposte alle vecchie domande, ma è in grado, se solo si voglia esaminarlo nella sua interezza, di generare domande nuove. E la figura sfuggente del segretario particolare di Pacelli – l’Archivio ci restituisce, attraverso una fototessera (fig.1), un’unica immagine dell’uomo – attende ancora di essere messa a fuoco dagli studiosi.