“Smettila di girare a vuoto, perché ormai il tempo non ti avanza per leggere i tuoi piccoli ricordi, né le gesta degli antichi romani e dei greci, né l’antologia di scritti che avevi riservato per la tua vecchiaia. Affrettati, per favore, e rinuncia a ogni speranza vana; abbi cura di te stesso, se qualcosa di te stesso ti interessa, finché t’è possibile”. (Le Meditazioni di Marco Aurelio. Lib. III, 14)
La cura di sé a partire dal I secolo guadagna ampio spazio. Insieme a Marco Aurelio, molti altri testi di Seneca declinano questo atteggiamento. Tutta l’attenzione va rivolta al sé: se formare, se facere, se ad studia revocare, secum morari ripetono i testi di Seneca. Occuparsi di sé al posto della preoccupazione dove lo sguardo è tutto rivolto ad exteriora. Questa occupazione propria della ἐπίμέλεία ἑαυτοῦ (Epimeleia heautou) è in verità un vacare, che non ha niente a che vedere con l’andare in vacanza dopo aver lavorato ma entrare nella dimensione dell’otium che con il ritmo del negotium si era resa indistinguibile, così come talvolta è difficile riconoscere la differenza tra esistenza e sussistenza nel mezzo delle nostre occupazioni. Disciplina e tecnica solitaria quella dell’otium ma destinata a riverberarsi nell’intreccio delle relazioni sociali. L’otium o skolè è uno spazio di tempo libero per i liberi. L’epimeleia, come ricorda Michel Foucault è:
il principio filosofico che predomina nel modo di pensare greco, ellenistico e romano. Socrate incarna questo modo di filosofare quando interroga la gente per strada o i ragazzi in palestra e dice loro: ti prendi cura di te? (che implicherebbe l’abbandono di altre attività più redditizie, come fare la guerra o gestire la Città). (M. Foucault, L’ermeneutica del soggetto)
La marca tipografica di Nikolaus Bischoff (1501-1564) rappresenta una gru che con una zampa afferra una pietra, mentre l’altra poggia su un pastorale. Il motto associato a questa immagine ci porta alle radici di un antico atteggiamento: “Tes epimeleias doula panta ginetai”, una frase che potrebbe essere tradotta come “Ogni cosa è sottomessa alla legge dell’attenzione”. Le gru sono menzionate anche nella Naturalis historia: “Di notte hanno delle guardie che tengono tra gli artigli una piccola pietra che, addormentandosi, si libera e cade, tradendo la loro incuria; gli altri dormono con la testa sotto le ali e alternativamente in piedi su una gamba e sull’altra…” (X, 30, 59). Nelle Emblemata di Andrea Alciato, l’essenza degli insegnamenti pitagorici si riassume, nell’emblema XVII, in un stormo di gru che vola sopra la testa di un uomo che si interroga: “Dove hai oltrepassato il limite? Cosa hai fatto? Che cosa spettava a te che non hai ancora compiuto?”. Nell’epigramma si spiega che Pitagora esorta ogni uomo a fare questa resa dei conti nella propria mente. Si dice che Pitagora abbia appreso questo insegnamento da uno stormo di gru volanti, che afferrano una pietra con i loro artigli per avanzare senza indugi e per evitare che le raffiche di vento avverse le distolgano dal proprio percorso. Secondo questa filosofia, la vita dell’uomo dovrebbe essere sempre vissuta su questo principio.
La triplice domanda sembra rimandare al testo degli Esercizi Spirituali (n. 53) di Ignazio di Loyola: Immaginando Cristo nostro Signore davanti a me e posto in croce, farò un colloquio: egli da Creatore è venuto a farsi uomo, e dalla vita eterna è venuto alla morte temporale, così da morire per i miei peccati. Farò altrettanto esaminando me stesso: che cosa ho fatto per Cristo, che cosa faccio per Cristo, che cosa devo fare per Cristo.
Nell’improbabile quanto costante viaggio a ritroso per trovare il “vero” Ignazio di Loyola ogni 31 luglio si ripropongono una carrellata che cerca, con minore o maggiore successo, di intersecare alcuni dei temi che costituiscono i nodi della nostra comunicazione. “Eresie” del presente. Tra queste proposte potrebbe pensarsi a San Ignazio come maestro dell’attenzione. Alonso de Salazar raffigurò Sant’Ignazio di Loyola, in occasione della sua beatificazione (1610), come gru vegliante. La ferita di Ignazio di Loyola, durante la difesa della fortezza di Pamplona (1521), che accorciò in modo irreversibile una sua gamba, permise a Salazar l’accostamento metaforico: …Il Signore ti ha accolto nella sua Compagnia affinché tu sia una gru vegliante, dalla terra Lui ti ha alzato un piede, ma il tuo Capitano ti da piede ora per innalzarti al più sublime stato… .
É significativo che il fondatore di un Ordine itinerante e missionario abbia intrapreso non tanto un viaggio verso terre lontane e sempre desiderate (Gerusalemme, Tunisi…), ma abbia percorso il sentiero stretto che porta al dominio più prossimo: il dominio di sé, che ben si potrebbe coniugare, in alcune delle sue declinazioni, con la cura di sé.
Anche noi abbiamo scelto una gru come emblema, che ci accompagna e ispira.
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