Il binomio continuità e discontinuità presuppone una determinata concezione ontologica della tradizione, vale a dire, funziona solo nella concezione essere/non essere del tempo. Secondo la visione aristotelica il paradosso del tempo si dissolve nella physis, con un tempo misurabile: “il tempo è il numero del movimento secondo il prima e il dopo” (Fis. IV, 11; 219 b1). Così, il tempo è come l’acqua che scorre dinanzi ai nostri occhi, come insegnano le tante fontane barocche di Roma. Questo movimento incessante deve essere necessariamente sostenuto da un motore eterno e immobile. Questo tempo oggettivo, che sarebbe la linea del tempo, arriverebbe dal passato fino a noi. Questa concezione, permetterebbe allo storico di stabilire una storia continua. Tutto quello che interrompa il filo della narrazione, tutto ciò che si interponga come un sasso in mezzo allo scorrere dell’acqua, per continuare con le metafore dell’oggettività, sarà dichiarato discontinuo.
Secondo questa idea, del tempo come sostanza, lo storia si sforzerà per trovare un discrimine tra ciò che è ancora vivo e ciò che è morto. In questo modo, si costituirà un passato pratico capace di influenzare le scelte del presente, dal che si può ancora imparare, un passato che serva come rifugio del presente e che si possa mettere al servizio della politica o della religione.
È possibile gettare lo sguardo al di là della siepe, e andare a vedere come funziona questa “borsa di valori”, nella quale si apprezzano o deprezzano eventi passati e si determina ciò che attuale e cioè che non lo è. La continuità o la discontinuità potrebbero invece essere pensate come un costrutto dello storico che dal suo presente determina cosa è attuale e cosa non lo è. Questo implicherebbe pensare il tempo non come una categoria a priori ma come una osservazione che nel presente stabilisce una differenza tra passato e futuro, essendo tutti e due simultaneamente presenti all’osservatore.
Questa attualizzazione della narrazione storica, grazie alla selezione di ciò che si retiene funzionale al presente, reprime una serie di altre possibilità e riduce la complessità indeterminata, con cui ha a che fare lo storico, in una complessità tollerata.
La ricerca storica potrebbe essere guidata non tanto dal “perché” è successo un avvenimento ma dal “come” è stato descritto, integrando l’osservatore nella sua osservazione. I nostri documenti sono sempre il risultato di un osservatore situato nel suo contesto.
Il pomeriggio del 2 novembre 1824 il papa Leone XII si recò al Collegio Romano. Il Diario di Roma di quell’anno raccontò quella visita. Il 17 maggio, col breve Cum multa, il Pontefice aveva assegnato nuovamente alla Compagnia di Gesù il Collegio Romano:
Pertanto, con piena consapevolezza e con Nostra matura deliberazione, nella pienezza della Nostra apostolica autorità, con questa lettera Noi concediamo, assegniamo e attribuiamo ai diletti figli, i chierici regolari della Compagnia di Gesù, e, per loro conto, al diletto figlio Luigi Forti, Generale della Compagnia stessa, in perpetuo, il Collegio Romano, con la Chiesa di Sant’Ignazio e il contiguo Oratorio, detto del padre Caravita, nonché i musei, la biblioteca, la torre specola, con tutti gli altri annessi e le pertinenze, a questa precisa condizione: che essi riaprano le scuole pubbliche, secondo il vecchio costume, come si poteva ammirare nel 1773; a tali scuole Noi ordiniamo di aggiungere le cattedre di Sacra Eloquenza e di Fisica Chimica.
Cambia la percezione del tempo storico, la differenziazione tra passato e futuro, tra esperienza e aspettativa. Il futuro diventa velocemente passato e si realizza non in un tempo escatologico ma nell’impeto rivoluzionario. Non per niente quel tempo tutto immanente, presente nei moti rivoluzionari americani, era stato condannato dallo stesso Leone XII, qualche mese prima con il breve Etsi iam diu.
Per le strade di Roma sguardi diversi s’incrociano. Per il papa gli studenti istruiti ad apprendere la bontà, la disciplina e la scienza, fioriranno nella dolce speranza di apportare di giorno in giorno cose più liete a questa Santa Sede e alla società civile. Invece Stendhal quando nelle sue passeggiate arriverà nei pressi del Collegio Romano, dichiarerà: Accanto alla chiesa dei gesuiti c’è il Collegio Romano; mi prendereste per uno scrittore satirico bilioso e meschino se illustrassi il genere di verità che vi vengono insegnate.

Alle ore quattro pomeridiane del di corrente [2 novembre] il Regnante Sommo Pontefice si compiacque di manifestare uno de’ più degni e sinceri tratti di quel vivissimo interesse di cui sempre si è conosciuto essere animato il di lui spirito per l’ aumento della religiosa e scientifica educazione della Gioventù; essendosi degnata la prelodata Santità Sua di portarsi in treno alla chiesa di S. Ignazio, in cui dopo avere orato per qualche tempo si condusse nella gran sala del Collegio Romano ad ascoltare l’orazione latina, che suol farsi per lo felice inauguramento degli studi nel principio di ogni anno scolastico. L’orazione fu recitata con universale e veracissima lode dal Rev. P. Carlo Grossi della Compagnia di Gesù Prefetto delle Scuole del nominato Collegio.
Condecorarono la letteraria funzione quindici Emi. Signori Cardinali in porpora, un numero copioso di Vescovi e Monsignori in abito prelatizio, non che molte persone le più distinte dell’ uno e l’altro clero, e ragguardevoli personaggi. secolari, oltre l’affluenza de’discepoli. Tutti con sincera compiacenza, ed esultazione udirono i ben dovuti, elogi dell’ augusto e beneficentissimo Sommo Pontefice, che ristabilì la Compagnia di Gesù nell’ importante ministero dell’educazione de’ giovani. Terminata la detta elegante orazione il Sommo Pontefice passò nella Congregazione così detta della Prima Primaria, ed ivi ammise con somma clemenza ed ilarità al bacio del piede il Rev. P. Preposito Generale, tutti i Religiosi della prelodata Compagnia, e volle distintamente conoscere uno ad uno i Professori destinati ad occupare le cattedre e gl’ impieghi di quel Collegio, animandoli con affabilità paterna ad incominciare con impegno e con zelo la carriera ad essi nuovamente aperta d’istruttori et educatori della gioventù.
Finalmente accompagnato dal Emo. e Rmo. signor Cardinal della Somaglia, Decano del Sacro Collegio e Segretario di Stato, dal R. P. Preposito Generale, e P. Provinciale della nominata Società per la porta corrispondente alla via del Corso si restituì col suo treno al Vaticano, avendo lasciata quella Famiglia religiosa ricolma de’ sentimenti i più rispettosi, i più teneri di venerazione, di gratitudine, di amore al proprio clementissimo Sovrano e beneficentissimo Padre.
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