
Molto R.do Padre mio.
Quis novit sensum Domini, aut quia consiliarius eius fuit? Si era fatto un papa, come S.R. avrà inteso, assai buono, amico della Compagnia, e pieno di tali pensieri, che se l’avesse adempiti, sarebbe stato un papa esemplare. E io lo so perché il giorno delle Palme, volse scoprir mi tutto il suo cuore, e fare, come esso diceva, con me una confessione generale, non di peccati, ma di proponimenti buoni. Ora questo buon pontefice il vigesimo settimo giorno del suo pontificato, che era anche il vigesimo settimo d’aprile, passò all’altra vita. Chi può indovinare questi giudizi divini? Stiamo ora per entrare di nuovo in conclave, e abbiamo bisogno più che mai d’orazione, perchè io non vedo in tutto il sacro collegio persona, che abbia le qualità, che V.R. descrive nella sua lettera. E quello ch’è peggio non si mira a trovar simili persona. Gran cosa mi pare che avendosi a creare un vicario di Dio, non si procuri di eleggere persona, che sappia la volontà di Dio, cioè che sia versato nelle Scritture sante, ma solo che sappia la volontà di Giustiniano, e di simili autori, si va cercando un buon principe temporale, non un santo vescovo, che s’occupi davvero nella salute dell’anime. Io dal mio canto procurerò di eleggere con il mio voto il più degno, o vero, il meno indegno, e il resto lascerò alla divina previdenza; che alla fine la cura della chiesa tocca più a Dio, che a noi. Con questo mi raccomando di cuore alle sue sante orazioni; massime in questo nuovo pericolo. La mia oratione quotidiana fu nell’altro conclave: transfer calicem istum a me. La medesima sarà ora, perchè mi trovo molto lontano da quelle condizioni, che giustamente ricerca V.R. in un vicario di Christo. Lei m’aiuti, acciò non entri in questa tentazione. Di Roma li 29 d’aprile 1605.
Di V.R.
Servo in X.o
Lo smarrimento che traspare nella lettera di San Roberto Bellarmino a un suo compagno, P. Carminata, in occasione del conclave di maggio del 1605, non trova corrispondenza alcuna con l’agitata curiosità che alleggia nell’attuale periodo di sede vacante. La lettera si trova tra le quasi tremila lettere pubblicate nella nostra piattaforma GATE .
Dopo il brevissimo papato di Leone XI, appena ventisette giorni, Bellarmino deve rinchiudersi nuovamente in conclave. Il defunto Alessandro de’ Medici, secondo il testo della lettera, appariva assai buono e amico della Compagnia. Ancora una volta il cardinale gesuita si rende testimone degli insondabili disegni divini, delle lotte delle fazioni cardinalizie che in parte rispondono alle volontà dei monarchi. Ma soprattutto, ai suoi occhi si presenta la scarsità dei membri del drappello di cardinali che lo spingerà a votare il “meno indegno”. Tra i più votati c’era Domenico Toschi che nel suo dialetto reggiano era solito intercalare, secondo il dire del cardinale Baronio, parole scurrili non degne del suo stato. Finalmente la scelta ricadde su Paolo V Borghese. Se Carminata aveva individuato nel Bellarmino il candidato ideale per il papato, il cardinale stesso non vede in sé nulla che gli permetta di aspirare a tale incarico. Paradossalmente questa cecità lo renderà ancora più degno: in quel mondo gerarchico chi si abbassa s’inalza.
Malgrado l’ottusa insistenza di certe teorie storiografiche intente a costruire, con la loro finzione, personaggi e situazioni che risultino analoghi e contigui a noi, certi documenti di archivio potrebbero essere adoperati per realizzare un’operazione di segno opposto. Questo sarebbe possibile se invece di mantenere l’ambigua opacità del termine storia che cela sia la disciplina che porta quel nome, che il suo oggetto di studio (la storia in quanto passato), si stabilisse una distinzione tra il reale e il suo discorso. O meglio ancora se l’interesse per l’accaduto lo si spostasse a come si narra ciò che è accaduto. Questa è la cifra per cercare di capire con quali distinzioni nella prima modernità si costruiva il mondo. La differenza tra quello sguardo costruttivo potrebbe tipificare meglio il nostro.
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