Non dica di esser stato in Roma chi non vi si è trattenuto in tempo di sede vacante […]
Non dica di esser stato in Roma chi non vi si è trattenuto in tempo di sede vacante, perché ove in altro tempo si vegono tutte le cose caminare con quella regola et ordine che le prescrive l’autorità del vivente Pontefice, all’hora tornano a disconcertarsi e mutar faccia, in modo che più non ritengono la somiglianza di prima. All’hora l’altezze adorate, et idolatrate dalla Cortegiana adulatione, tutte si abbassano con gran mortificatione di se stesse; si che chi mostrò spiriti di dominio, eo d’orgoglio, et contese di maggioranza ai primi, si vede humiliato, e dimesso inchinarsi, e incurvarsi a chi disprezzò poco avanti. […] Cessano all’hora l’autorità dei tribunali, et è libera in ciascuno la facoltà del parlare, e dello scrivere, et di dire svellatamente quel che per ogni rispetto era in altro tempo da tenersi celato. Conclave nel quale fu creato papa il cardinale Ludovisio (APUG, 269)

Ciò che sappiamo del mondo lo sappiamo grazie ai giornali, alla radio, alla televisione, a quell’intreccio di racconti, insulti e opinioni che si chiamano social media. Ogni mattina davanti ai nostri occhi si dispiega un raddoppiamento della realtà.
I mass media, in questi giorni, si sono impegnati, senza grandi sforzi, nel presentarci la sede vacante e il suo rituale. Il messaggio era ossessivo. Un’antico cerimoniale si dischiudeva nel mezzo del nostro quotidiano convulso e accelerato. Pensavamo di essere testimoni di un passato. Invece di transitare per il magico tunnel del tempo, dovendo affrontar chissà quali rischi e avventure, abbiamo visto il passato avanzare deciso verso di noi, anzi non lui, ma la sua produzione. Noi seduti ci siamo goduti lo spettacolo.
Non ci fidiamo sempre e ciecamente di quelle costruzioni, ma come Shakespeare fa dire a Orazio nell’Amleto: così ho sentito dire e in parte ci credo. Anzi, i dubbi che generano ci legano ancora di più ad esse. Non ci resta molto altro, o forse sì. Potremmo cominciare a riflettere che dietro a quel tipo di operazione c’è una determinata teoria che presuppone l’esistenza, non solo di una realtà oggettiva ma postula anche la possibilità di coglierla e poi di raccontarla così com’è.
La ritualità della sede vacante, produzione di un tempo passato che arriva al nostro presente, proviene da un mondo alieno che ai nostri occhi consideriamo arretrato e selvaggio in molti dei suoi aspetti. Tra le tante “arretratezze” di quel mondo abbiamo rigettato la peste, la schiavitù, le diseguaglianze determinate dalla nascita, la violenza crociata e le guerre religiose, le monarchie assolute, i processi di stregoneria, la mancanza dei diritti umani… Malgrado ciò, da quel mondo improbabile ci arriva una scheggia che, grazie ad una operazione finzionale, si presenta come probabile, plausibile, pensabile.
Per fare transitare quel frammento di passato, si mettono in moto una serie di paradossi che in realtà non spiegano nulla, rivelano il limite del discorso ontologico, ma come le macchine barocche stupiscono. Uno di questi è il binomio continuità/discontinuità. Lo si usa perfino spesso nell’attuale arte culinaria. Lo chef sapiente è quello che sa prendere le ricette della tradizione ma le rivisita innovando. Nessuno sa bene, alla vista del piatto, come tracciare il limite tra tradizione e innovazione, ma “sapere” che i due poli opposti stanno insieme tranquillizza. Riconoscere delle differenze potrebbe gettarci nello sconforto o nella incertezza.
Lo storico dovrebbe essere in grado di spiegare la normalizzazione dell’improbabilità. Da una parte potrebbe delucidare come quel mondo si è reso per noi improbabile, il che implicherebbe anche spiegare come il nostro è totalmente improbabile per la società del XVII secolo. E poi, come è possibile, quindi, che un frammento di quella società, per noi superata, possa ritornare come se niente fosse successo. Ricorrere solo al caso o nascondersi dietro l’ambiguo concetto di varietas temporum ci riporterebbe al punto di partenza. Come ricorda Michel de Certeau: Che fare in quanto storico, se non sfidare il caso, porre delle ragioni, cioè comprendere?
Un altro paradosso ci minaccia. Come è possibile trovare elementi nuovi nel passato?
Un documento del nostro archivio ci viene in aiuto. Il codice raccoglie una forma discorsiva che potremmo denominare “Conclave”, che si manifesta con diversi nomi: “Discorso del Conclave”, “Relazione del Conclave” o semplicemente “Conclave”. Erano redatte dai “conclavisti” che erano al servizio dei singoli cardinali durante il conclave. Sono abbondantissimi gli esemplari manoscritti, che constano tra venti e trenta carte. Si trovano anche alcune raccolte stampate come quella di Gregorio Leti (1691).
Una delle versioni del conclave in cui venne eletto Gregorio XV può essere utile per stabilire delle differenze. Il periodo di sede vacante apriva, per tutta la città di Roma, un tempo di disordine e sconcerto. La città era un’altra; al punto tale che, come dice l’anonimo “conclavista”, chi non è stato a Roma in tempo di sede vacante non ha conosciuto veramente la città. La Roma “vera” implicava l’esperienza del governo del Papa e il suo contrario. Erano da temersi i lunghi conclavi. Si fermava la giustizia, si cambiavano a volontà i prezzi delle merci, perfino la gente parlava liberamente, si rivelavano segreti, finiva la cortigiana adulatione che si disponeva a rivolgersi altrove. Si esacerbavano le fazioni cardinalizie, così come le tensioni tra gli ambasciatori presenti alla corte pontificia, si riaprivano le faide tra le famiglie nobiliari.
La morte di Pio IV (1565), che aveva richiesto per ben due volte un donativo di 400.000 scudi, fu accolta con grande gioia da parte dal popolo di Roma. La sua efigie nel Campidoglio, opera di Taddeo Landini, fu distrutta. Dopo la morte di Sisto V (1590) si diffuse il panico tra gli ebrei, che chiusero le loro botteghe come invece accade a Bologna. Rappresentanti del popolo fecero arrivare una petizione ai cardinali riuniti in conclave chiedendo delle misure per calmierare il prezzo del pane «per la gran carestia suscitata da speculatori che ne fanno aumentare il costo a prezzi di sangue».
Il vescovo Agazio di Somma (1591-1671) riguardo la morte di Pio V racconta l’ «allegrezza» che regnava alla corte di Roma «parendole d’essersi liberata dal dominio di un vecchio austero». Dopo la morte di Gregorio XIII si verificò un aumento del banditismo. Se malauguratamente scarseggiava il pane, le violenze aumentavano esponenzialmente. Durante la sede vacante di papa Ludovisi molti soldati e Caporioni di Municipio furono aggrediti al punto di dover vietare comitive di più di quattro persone. Se la magnifica statua di papa Urbano VIII del Bernini riuscì a salvarsi da una folla inferocita che “celebrava”, in mezzo a una carestia cittadina, la fine di un ventennio di “tirannia”, non ebbe la stessa sorte un busto del pontefice che si trovava al Collegio Romano. Centottanta due omicidi si riportano durante la sede vacante che seguì la morte di Alessandro VIII. E verso la fine di quell’interregno la violenza aumentò ulteriormente. Così si presenta la situazione di Roma il 16 giugno 1691, secondo Il corriere ordinario:
Sabbato e Domenica corse una gran voce di stretta prattica per l’Elezzione del Sig. Card. Acciaioli, e durò sin tutto il giorno di S. Antonio di Padoua, mà non segui altro: e s’intrigano sempre più gli affari del Conclave, senz’alcuna speranza, che possino dileguarsi senza gran sconvolgimento di cose. Si è tuttavia fatta prattica tutta la notte passata per il Card. Dolfino; e questa mattina il Sig. Card. Gregorio Barbarigo hà havuti 33 Voti. Intanto la Città patisce di penuria, di omicidii, e di furti, con un libertinaccio mai più veduto, nè si può far l’attenzione necessaria per oviare à tanti disordini, trà quali uno successe la mattina del Corpus Domini, mentre ritornando di Campagna sulle 14 ore 12 Carri di fieno scarichi tirati da Bufali, e passando per la Strada stretta de’ Pettinari dalla Trinità, che và à Ponte Sisto, hebbero incontro con un Capitanio in Calesso, e differenza circa il dar indietro; onde accorsi li Soldati del Capitanio di là del Ponte, restarono ammazzati un Cavallo, & alcuni Bufali, e diversi Carrari feriti, 2 ne sono seguestrati in Corpo di Guardia, e gli altri ritirati nella Chiesa di S. Sisto, e postisi li Carri tirati da’ Bufali in fuga senza guida, si dispersero per Trastevere con danno indicibile. Questo successo hà fatto gran rumore; onde si è ordinato rigoroso Processo.
Nel XVIII secolo la durata media dei conclave si attesterà intorno a cento giorni. Se le violenze durante le sede vacante a partire da questo secolo diminuiranno, la politicizzazione dei conclavi andrà in aumento.
Oggi niente di tutto ciò succede durante una sede vacante breve o lunga che sia. La vita quotidiana continua con i suoi ritmi, soprassalti e preoccupazioni. Tuttalpiù i cittadini di Roma potranno lamentarsi di un traffico un po’ più caotico del solito mentre i ristoratori celebrano. Violenze, guerre e carestie non sono attribuibili al governo della Chiesa e la causalità con la quale si analizzano non è altro che uno schema di osservazione a secondo dei diversi punti di vista.
La lettura di questi giorni di sede vacante, ormai finita, dovrà pensarsi tenendo in considerazione lo sfondo della nostra società acentrica e con una teoria che a sua volta sia policontestuale e policentrica per rendere conto della complessità nella quale siamo immersi. La Religione, la Economia, l’Arte, la Politica, osservarono a partire dalle proprie distinzioni e attraverseranno la società tutta con le loro comunicazioni conformando i suoi mille piani.

Scopri di più da Archives of Pontifical Gregorian University
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.


