Per il pensiero che c’è dietro il branding strategico, la corporate visual identity non è autonoma, ma segue e accompagna le trasformazioni nel tempo dell’identità istituzionale. Poiché l’identità istituzionale definisce la missione, la legittimità e il principio di azione dell’istituzione, ogni modifica significativa di questi elementi richiede una rielaborazione delle forme visive attraverso cui l’istituzione si rende riconoscibile.
In questo senso, la visual identity è una forma derivata e adattiva: non fonda l’identità, ma la esprime; non decide il senso dell’istituzione, ma lo rende percepibile nel presente. Vuole tradurre sul piano grafico e percettivo cambiamenti che sono già avvenuti a livello istituzionale: mutamenti di mandato, ridefinizioni della missione, nuove configurazioni organizzative o nuovi pubblici di riferimento. Per questo motivo essa si evolve storicamente e ha la pretesa di rendere visibile una specie di continuità rinnovata, accompagnando il cambiamento senza mettere in discussione la legittimità dell’istituzione.

Per una storia che tenga conto della costante evoluzione del sistema sociale l’identità non è una proprietà né un’essenza stabile, ma un’operazione di autodescrizione attraverso cui un sistema organizzativo o istituzionale produce una determinata forma di comunicazione su se stesso. L’identità non precede le operazioni del sistema, ma emerge come loro effetto: nasce nel momento in cui il sistema seleziona alcuni tratti come rilevanti (tralasciando altri) e li rende comunicativamente disponibili, distinguendo ciò che appartiene da ciò che resta fuori. In questo senso l’identità non stabilizza qualcosa che già esiste, ma crea una continuità comunicativa che rende possibile il riconoscimento del sistema come “lo stesso” nel tempo.
La costruzione dell’identità presuppone la messa in atto di un doppio processo. Da una parte una individuazione implica mantenere una differenza nel tempo tra sé e ciò che è fuori e distinguersi da tutti gli altri. A questo si aggiunge un’identificazione, vale a dire, una disposizione a essere inclusi, a stabilire un senso di comunanza con altri. L’esito di questo processo, implica la possibilità di pronunciare un “noi”. In questo senso, è un rinvio costante tra distinzione e appartenenza. Ma ormai questa dialettica non la si può dare oggi per scontata.
Una sempre più crescente spinta all’individualizzazione, che sollecita a essere unici, autonomi e originali, non trova oggi contesti collettivi sufficientemente stabili in cui riconoscersi e da cui trarre orientamento. Alla luce di queste tensioni, può risultare significativo interrogare la sopravvivenza — o la trasformazione — di formule antiche del corpo gesuitico quali il nostro comune modo di procedere o la semplice evocazione di los nuestros, con cui i gesuiti erano soliti riferirsi a se stessi.
Nella società moderna l’identità diventa problematica perché l’individuo è incluso in molti sistemi senza essere integrato in uno solo, ed è costretto a produrre da sé una sintesi che la società non garantisce più. In quanto dispositivi di identificazione, la visual identity e il branding operano attraverso distinzioni. Rendono visibile un’identità, tracciano un confine simbolico, indicano un “noi” possibile. Ma ogni distinzione, nel momento stesso in cui rende possibile l’identificazione, produce anche disaccordo, distanza o rifiuto. Non tutti si riconoscono nella stessa forma simbolica, e non tutti sono chiamati a farlo.
Una serie di cambiamenti nei loghi adottati dall’Università Gregoriana testimonia questa progressiva ricostruzione dell’identità.
Poiché l’identità è una costruzione comunicativa e non un’essenza, essa esiste solo nella misura in cui può essere osservata e rielaborata. La visual identity funziona allora come una superficie di iscrizione sulla quale si proiettano aspettative, adesioni, critiche e disaccordi. Ogni reazione — di identificazione o di rifiuto — contribuisce a ridefinire nel tempo il senso dell’identità. La visual identity potrebbe contribuire a rendere abitabile uno spazio comunicativo in cui il disenso può emergere, essere osservato e negoziato.




Opuscolo commemorativo per il 50° dell’ordinazione sacerdotale di Pio XI
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