La Clavis Prophetarum di Antonio Vieira S.J. (1608-1697) nell’Archivio Storico della Gregoriana – Maria Carmela De Marino


Il gesuita Antonio Vieira, teologo e predicatore famoso, viene annoverato tra i maggiori personaggi del XVII secolo. Nato nel 1608 a Lisbona dall’inquisitore Cristóvão Vieira Ravasco e Maria de Azevedo, morto nel 1697 a Bahia, Vieira ricoprì importanti incarichi nel corso della sua lunga vita: gesuita dal 21 gennaio 1646; predicatore di corte e consigliere del re Giovanni IV, nonché membro del Consiglio reale; dal 1647, diplomatico in Olanda, Inghilterra, Francia e Roma; missionario nel Maranhão e nel Pará dal 1653, nella cui veste difese instancabilmente i diritti umani degli Indios, combattendo contro le esplorazioni e la schiavitù; processato dal tribunale dell’Inquisizione, imprigionato dal 1667 al 1668 con l’accusa di aver annunciato il regno millenario del Portogallo e l’imminente “resurrezione” del defunto Giovanni IV; graziato e riabilitato dal re Pietro II e da Clemente X, che gli concesse l’opportunità di predicare davanti al Collegio dei Cardinali, prendendosi quindi una grande rivincita contro chi l’aveva condannato per eresia; confessore della regina Cristina di Svezia.

La sua produzione letteraria è molto vasta, oltre che varia: dai sermoni agli scritti meditativi e profetici, fra cui la Historia do Futuro che rimasta incompiuta verrà pubblicata postuma nel 1718, alle operette di argomento politico o sociale, agli atti del processo inquisitoriale, alle oltre 800 carte tra lettere, prediche e argomenti vari. Vieira si dedicò personalmente alla sistemazione dei suoi scritti dal 1681, quando cioè fece definitivamente ritorno in Brasile, aiutato in quest’impresa da alcuni padri del Collegio di Bahia. Molti altri testi, sia manoscritti che a stampa, sono stati raccolti e pubblicati postumi in più tappe, ma ad oggi sono centinaia quelli ancora da studiare. Gli scritti più rinomati sono indubbiamente gli oltre duecento Sermões (1679-1684), frutto dell’instancabile attività di predicazione che il gesuita svolse tra Bahia, Lisbona e Roma. Per le tematiche politiche, sociali ed economiche affrontate, i sermoni appassionano ancora oggi i lettori e sono annoverati, dalla letteratura portoghese, come brillante esempio di oratoria sacra. A questi si aggiunge la Clavis Prophetarum, il progetto più importante di Vieira al quale dedicò cinquant’anni della sua vita. Si tratta di un’opera di argomento profetico ed escatologico dallo stile freddo e controllato rispetto ai Sermões, dalla quale emerge la visione millenaristica dell’autore. Il manoscritto originale è andato perduto; la più importante testimonianza è rappresentata dalla Sententia del gesuita milanese Antonio Carlo Casnedi (1643-1725), il quale ricevette dal card. Nuno Cunha de Attayde (1664-1750), Inquisitore portoghese, l’incarico di esaminare gli originali che alla morte di Vieira erano stati chiusi in un’arca. In essa l’autore ha sintetizzato l’intera opera, fornendoci preziose informazioni sul suo stato di conservazione materiale e disquisendo ampiamente sui passi che al tempo erano considerati maggiormente controversi, tanto da attirare forti censure e impedirne la pubblicazione. Oltre a questo lavoro, Casnedi ha cercato di riorganizzare anche un testo ultimo e definitivo della Clavis, confrontando i manoscritti originali con la copia che, nel 1699, era stata inviata a Roma dal gesuita Antonio Maria Bonucci (1651-1728), il quale a sua volta il 9 luglio 1698 aveva ricevuto l’incarico di completarla dall’allora generale della Compagnia, Tirso González de Santalla (1624-1705). Da questo tentativo di completamento della Clavis deriva un ramo di manoscritti definiti, da Margarida Vieira Mendes, della “Vulgata”: «Entendemos por Vulgata o ramo de lições (todas variantes) que seguem o chamado “protótipo”, atribuído à responsabilidade do cardeal Nuno da Cunha, come se pode ver pelo frontespício da maioria dos testemunhos” [1].
Silvano Peloso, nella sua recente pubblicazione [2], nel ricostruire la lunga storia della Clavis ha identificato la copia inviata a Roma nel 1699 con il ms. 706 della Biblioteca Casanatense di Roma, includendo poi i mss. 354 e 359 dell’Archivio Storico della Pontificia Università Gregoriana tra i cosiddetti manoscritti della “Vulgata”. Si tratta di due manoscritti del Fondo APUG, rispettivamente di 289 e 242 carte, stimati tra il 1650 e il 1700. I manoscritti, come si legge dall’ex libris incollato sulle controguardie anteriori, provengono dalla bibliotheca privata del generale Pieter Jan Beckx (1795-1887), vale a dire la biblioteca della quale usufruiscono, ancora oggi, i superiori Generali con sede nella curia dell’Ordine. La rilegatura, quella del ms. 345 interamente in cuoio a differenza del ms. 359 i cui piatti sono in cartone, si caratterizza per la stessa decorazione in oro sul dorso, con la suddivisione in caselle all’interno delle quali si trovano dei fregietti. Lo stesso corpo dei manoscritti presenta caratteristiche in comune, dai tagli spruzzati in rosso, alla disposizione del testo che riempie l’intero specchio di scrittura, alla strutturazione interna del contenuto che nel ms. 354 è ulteriormente evidenziata dall’inchiostro rosso utilizzato per il titolo dell’opera, per le responsabilità autoriali e per i titoli dei capitoli. Nella prima parte è riportata la Sententia di Casnedi, che nel ms. 359 termina con la nota «Totum hoc est P. Caroli Antonii Casnede post repetitam huius Clavis Lectionem» (p. 41). Seguono i tre libri della Clavis: «De Regno Christi Domini in terris consumato libri III. De Regno Christi in terris consummato (ipso favente) acturi, disputationem universam in libros tres dividimus. Primus aget de Regno ipso; Secundus de eius in terris consummatione. tertius de tempore, quo, et quando consummandum est, et quamdiu duraturum» [Fondo APUG, ms. 359, p. 1]. Il ms. 359 contiene nella parte finale l’indice dell’intero volume mentre il ms. 354, tra la controguardia posteriore, un fascicolo di dodici carte nel quale è riportata la censura emanata, il 29 agosto 1715, dal Convento di Santa Maria Sopra Minerva, con la firma del padre Giacinto Santaromana, teologo casanatense dell’Ordine dei Predicatori: «Censura Censuræ super quibusdam propositionibus, quæ in libro Rev.mi Patris Vieyra Societatis Jesu, cui titulus Clavis Prophetarum, continebatur.» (c. Ir).
Oltre a questi manoscritti, l’Archivio Storico conserva altre due versioni della Clavis, precisamente i mss. 1165/1 e 1165/2 appartenenti al Fondo Curia. Quest’ultimo non presenta differenze codicologiche e contenutistiche rispetto ai due manoscritti dell’APUG. Il ms. 1165/1, invece, datato 1699 si distingue dai tre per una serie di ragioni: in primo luogo, le dimensioni delle 328 carte che lo costituiscono, non rifilate e soprattutto diverse; la quantità di ritagli cartacei, sia incollati sul margine o addirittura sul testo, sia inseriti nella stessa cucitura (in un caso si intravedono i capitoli di una lettera gesuitica); l’alternanza di mani varie; le numerose integrazioni a margine, la quantità di errori e di correzioni. La situazione descritta lascia supporre che il manoscritto sia stato composto riunendo insieme fascicoli scritti in periodi diversi in modo che fosse ricomposta l’intera opera e che, inoltre, abbia subito varie peregrinazioni come si deduce dal non ottimale stato di conservazione. Colpisce, in particolare, una nota in spagnolo scritta su un ritaglio inserito tra le prime carte, nella quale si dice di sostituire il titolo «De regno Christi iesu CLAVIS PROPHETARUM Verum eorum sensum aperiens Ad rectam Regni Christi in terris consummati intelligentiam assequendam A Patre Antonio VIEYRA SOCIETATIS IESU summo pretio elaborata sed, morte prœveniente, non absoluta nec ultima manu expolita. Opus posthumum, ac desideratissimum A Collegio Behiensi Ad Admodum Reverendum Patrem Nostrem Thyrsum Gonzalez eiusdem Societatis Prepositum Generalem missum Anno MDCXCIX», con il seguente: «Opus posthumum, ac desideratissimum adamussim respondens non solum Typo Romam transmisso, sed longe magis Prototypo sub Em.mi D.D.S.R.E. Cardinalis, Nonii da Cunha, Supremi totius Lusitanæ Ditionis Inquisitoris potestate inventi» (c. 1Ar). Si tratta, quindi, di una testimonianza indispensabile per la ricostruzione critica di un’opera che lo stesso Vieira considerava la maggiore fra tutte quelle da lui scritte, al punto tale da essere «degna di un Concilio».
[1] M. VIEIRA MENDES-R. MARQUILHAS, A quarta mão: um manuscrito de Clavis Prophetarum do padre António Vieira, in «Confluência. Revista do Instituto de Língua Portuguesa», n. 9, Rio de Janeiro, 1995, pp. 13-21.
[2] SILVANO PELOSO, La Clavis Prophetarum di Antonio Vieira. Storia, documentazione e ricostruzione del testo sulla base del ms. 706 della Biblioteca Casanatense di Roma, Viterbo, Sette Città, 2009.

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