La parabola della biblioteca


Resti dell’antica biblioteca dei gesuiti a Santa Fe (Argentina, 1989)

L’esperienza di venire a contatto con un insieme di libri antichi, altamente compromesso, appartenente alle biblioteche dell’antica provincia gesuitica del Paraguay, oggi a Buenos Aires, mi portò a riflettere riguardo ciò che ho denominato la parabola della biblioteca. La biblioteca si rivelava come un luogo possibile per leggere l’impatto della Compagnia di Gesù con la modernità incipiente (s. XVI) fino ai tempi nostri. Lo spettacolo che si presentava ai miei occhi era il risultato di un lungo abbandono. Nessuna catastrofe naturale né alcun incidente grave avevano aperto quella voragine. Era come se molti e per molto tempo avessero voluto guardare da un’altra parte. Il tutto si snodava nella storia di un paese, l’Argentina, che era stato capace di generare una distruzione violenta e sanguinaria. Il gesuita Baltasar Gracián (1601-1658) aveva già intuito nella sua opera Il criticone (1651-1657) la capacità e il ruolo protetico della biblioteca nel processo di ominizzazione. Allora pensai che anche il contrario poteva essere vero: che la rovina di un tale patrimonio indicava una disrupzione in tale processo. In quei segni drammatici si poteva intravedere, senza grande fatica, la cifra nefasta della distruzione creatrice così come è stata concepita da Joseph Schumpeter (1883-1950)1.

La biblioteca può essere osservata come uno spazio disciplinato per l’amministrazione dei saperi, ma se si considera anche la storia dei danni e dell’uso dei volumi, le politiche di crescita e di conservazione, la gestione degli spazi, tra quei libri si prefigura una scrittura al di là della stessa scrittura.

Un ricco mobile di libri è tanto necessario in tutti i nostri Collegi, che possiamo chiamarlo meritatamente il nostro secondo pane, l’astinenza del quale è un vizioso digiuno. Così si legge nell’Informatione d’un modo facile d’arrichir senza spesa d’ogni sorte di libri tutte le librarie della Compagnia (1619), libello prodotto dalla congregazione provinciale di Venezia, per l’allora superiore generale P. Mutio Vitelleschi. Questa osservazione riguardo la biblioteca come secondo pane cambierà nel tempo.

Nei primi anni di vita della istituzione gesuitica è possibile avvertire la sopravvivenza di una radice medievale che affiora nel momento di confrontarsi con l’innovazione tecnologica della stampa e con le conseguenze riguardo la trasmissione dei saperi. La diffusione dei classici, grazie alla stampa, suscitò non poche tensioni nella prima generazione dei gesuiti. Il successore di Ignazio di Loyola nel governo dell’ordine, Diego Lainez, in una lettera all’allora segretario della Compagnia di Gesù Juan de Polanco, manifestò il pericolo che correvano gli studenti gesuiti “alimentandosi troppo con studi umanistici giacché le menti potrebbero crescere troppo delicate e abituarsi a delle piacevolezze e che poi non saprebbero né vorrebbero approfondire nelle cose e si potrebbero spaventare o annoiarsi davanti alle difficoltà e asprezze proprie della filosofia e della teologia scolastica”. Questa preoccupazione di Lainez è in linea di continuità con la sentenza ignaziana che troviamo nel libro degli Esercizi Spirituali: “non il molto sapere riempie e soddisfa l’anima se non il sentire e degustare internamente le cose”. Questo principio degli Esercizi segue in totale fedeltà la tradizione medievale dell’ars legendi che a sua volta trova la sua origine in Plinio il Giovane: “aiunt enim multum legendum esse, non multa”. Sarebbe interessante rintracciare, nella storia dei gesuiti, le osservazioni che si sono susseguite a partire da quella massima ignaziana. In questo modo, sarebbe possibile ripercorrere le diverse applicazioni di questo principio per arrivare fini a noi, nel contesto della nostra modernità avanzata, dove certe posizioni rinunciano a qualsiasi istanza di problematizzazione. Questa assenza di pensiero critico favorisce semantiche più emotive o apertamente anti-intellettuali che vorrebbero essere un sollievo davanti alla pressione incontenibile della contingenza, in virtù della quale le cose possono essere in un modo o nell’altro e non rispondono più, in modo necessario, alle aspettative previste.

Se la biblioteca medievale aumentava in favore della ripetizione, la biblioteca moderna si presenta come un magazzino che accoglie ogni novità. Per questo la biblioteca moderna esisterà e sopravviverà nell’inventario e nel catalogo; la costituisce l’ordine più che i volumi. Il catalogo favorirà l’illusione che si possiedano i dati essendo in verità solo l’indicazione di dove eventualmente si possano trovare i dati stessi. La collezione a causa della quantità e varietà si fa di volta in volta più opaca; precisamente questa opacità renderà possibile il navigare in un insieme che aumenta in modo incessante. La massa ingente di informazione e i possibili rapporti che si potrebbero stabilire dovranno essere occultati affinché il catalogatore possa ridurre la complessità. L’aumento della contingenza costringe alla selezione.

Biblioteca Casanatense, Roma.

La biblioteca ideale di Claude Clement (1596-1642) (Musei, sive Bibliothecæ tam privatæ quàm publicæ Extructio, Instructio, Cura, Usus. Libri IV. Accessit accurata description Regiæ Bibliothecæ S. Laurentij Escurialis., Lyon, Iacobum Prost, 1635) ricorda il detto medievale: Claustrum sine armario castrum sine armamementario (detto del monaco Goffredo del Monastero di Sainte-Barbe-en-Auge). Nella pianta ideale di Clement la porta di ingresso si collocava a occidente e nella parete ad oriente si mettevano le immagini del Crocifisso e della Madonna insieme a due finestre da dove entrava la luce. La biblioteca di Clement è un ambito sacro in cui l’altare è rivolto verso l’oriente e domina lo spazio del sapere rappresentato dalla biblioteca. La biblioteca tempio non era solo una soluzione ideale di Clement, questo spazio sacro si realizza anche nella Bibliotheca Maior del Collegio Romano come può vedersi nella cosiddetta Sala della Crociera. Ancora oggi nella Biblioteca Casanatense di Roma c’è un monito per il lettore: mille libros hospes quid quaeris cernere? Thomam suspice, maiore enim bibliotheca fuit (Visitatore, perché cerchi tra mille libri? Guarda Tommaso, che fu una biblioteca ancora più grande).

Ingresso all’antica biblioteca della residenza professa del Gesù (Roma)

Sopra questo cartiglio, un medaglione con un busto di Tommaso d’Aquino, ad opera di Pierre Le Gros, diventa sineddoche del sapere teologico. E per chiudere l’emblema San Tommaso tiene nelle sue mani la Bibbia Sacra. Era la Bibbia (τὰ βιβλία «i libri») la biblioteca che conteneva ogni sapere. Rappresentazione della divisione classica tra ordine celeste e ordine terrestre precisamente nel momento in cui quell’ordine si spaccava emergendo saperi alternativi e autonomi. Ancora campeggia nell’ingresso di quello che era la biblioteca della casa professa dei gesuiti di Roma un affresco dove si rappresenta il fondatore, Ignazio di Loyola, nell’atto di scrivere i suoi Esercizi Spirituali. Questa volta è questo piccolo libretto quello che apre le biblioteche della Compagnia di Gesù, come si volesse ricordare che quella piccolezza vuole contenere ogni cosa e risolvere ogni contraddizione. La biblioteca ideale di Clement si pensava in questo senso: gli scaffali di ogni materia erano sorretti da imagines Scriptorum Canonicorum et Captivi Telamones. I telamoni “cattivi” si vedevano così condannati a sorreggere le opere che avevano risposto ai loro “errori”. Oggi possiamo osservare che senza l'”eresia” il dogma non si sarebbe sviluppato.

La biblioteca in quanto passaggio dalla modernità incipiente alla modernità avanzata include la novità innanzi alla quale si dovranno inventare mille trucchi per occultarla. Nel suo magazzino si conserveranno libri proibiti, censurati, eretici, ma la possibilità che la biblioteca accolga il conflitto implica la presunzione di contenerlo e ridurlo. La funzione della religione era precisamente quella di fungere da formula di contingenza. Il desiderio, secondo Clement, di alcuni gesuiti di amministrare la biblioteca del Escorial, fondata da Filippo II e affidata ai monaci di San Girolamo, indica un cambiamento di orientamento riguardo la valorizzazione dei saperi attraverso dei libri. Un memoriale anonimo indirizzato al Re, citato da Clement, testimonia questo passaggio. Il memoriale del gesuita anonimo afferma che avendo a disposizione quella biblioteca si potrebbero formare cinquecento studenti della Compagnia per poi inviarli a “conquistare le Indie di Castiglia e Portogallo e le genti (eretici) di Inghilterra e Germania”. Il gesuita anonimo si domanda: “come mai i monaci gerolamini potrebbero farsi carico di una biblioteca monumentale visto che la vocazione del monaco non è insegnare ma piangere sé stesso e il mondo e attendere la seconda venuta di Cristo”. Al contrario, continua l’autore anonimo, “i gesuiti furono fondati per insegnare, predicare e confessare; per questa ragione non hanno coro né cosa altra che impedisca questo esercizio”; “i monaci gerolamini sono contrari allo studio”. Malgrado questa requisitoria i gesuiti non ottennero mai la gestione di questa biblioteca.

Altri segni indicano una adesione al nuovo farmakon (veleno e medicina) della stampa. Juan de Polanco in una lettera al rettore di Venezia, comunica l’acquisizione di una collezione di trentamila caratteri che erano appartenuti all’officina di Antonio Blado. Con questi, nell’ottobre del 1556 nel Collegio Romano si diede alla stampa il primo volume delle Assertiones theologicae.

L’APUG possiede una ricca documentazione per seguire le vicende, piene di peripezie, delle biblioteche del Collegio Romano. Queste testimonianze sono un’occasione per seguire le vicende dell’Ordine dalla metà del ‘500 fino al XIX secolo. Una serie di “post” illustreranno questo percorso, utile, forse, per stabilire delle differenze con le vicende delle biblioteche gesuitiche di oggi sulle quali si realizzano altre osservazioni.


1 Sul riscatto di questo patrimonio vedi Morales, Martín M., La librería grande: el fondo antiguo de la Compañia de Jesús en Argentina. Roma : Institutum Historicum Societatis Iesu, 2002; Federici, Carlo; Morales, Martín M.; Zanetti, Melania, Il restauro del libro tra Roma e Buenos Aires : un dialogo senza frontiere per la conservazione del patrimonio culturale.
[Roma] : IILA, 2008.


2 risposte a "La parabola della biblioteca"

  1. Leggo sempre con molto piacere i vostri post, ma di questo in particolare volevo ringraziare. Cordiali saluti e grazie del vostro servizio. Marco Ronconi

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