
Nel 2024 si celebrano i duecento anni dalla restituzione del Collegio Romano alla Compagnia di Gesù.
L’Archivio Storico della PUG è promotore del progetto di ricerca:
Il Collegio restituito (1824-1873): un complesso documentario specchio della società ottocentesca.
Il gesuita Athanasius Kircher (1602-1680) spinto dal suo universalismo ideò un orologio universale, l’Horoscopium catholicum Societatis Iesu, capace di unificare il tempo e lo spazio innanzi alla diversità dell’orbe conosciuto1. La sfida era trovare una via che fosse capace di concentrare la disgregazione del sistema sociale che mutava nella sua struttura e nella sua semantica.
L’horoscopium, fatto in onore all’elezione del superiore generale Vincenzo Carafa (1545-1649) e destinato alla sua Ars magna lucis et umbrae (1646), rappresenta la propagazione dei gesuiti in quel mondo. Un frondoso albero che s’innesta nel corpo stesso di Ignazio di Loyola e irradia i suoi innumerevoli rami nei quali sono iscritti le province e le residenze dell’Ordine.
Secondo l’horoscopium, la presenza della Compagnia incarna il versetto del salmo 112: il nome di Signore sia proclamato da oriente a occidente, «a solis ortu usque ad occasum»; così si sancisce la dimensione cattolica, vale a dire universale della Chiesa grazie alla presenza della Compagnia di Gesù. Sulla cima dell’albero campeggia l’aquila bicefala che ricorda il principio del potere temporale dell’imperatore e di quello spirituale del papa.
L’azione apostolica della Compagnia di Gesù s’innestava ancora nell’idea di una monarchia universale, di un mondo concepito come casa comune2, perché in esso erano disseminate le residenze, i collegi, e le missioni dei gesuiti. Quella concezione del mondo riteneva che la religione era il fondamento del sistema sociale.
L’horoscopium era un modo di contenere la disseminazione della Compagnia nello spazio permettendo anche una lettura sinottica del tempo. La storia iconografica dell’albero conobbe un lungo sviluppo. Non pochi di questi alberi gesuitici, a partire del secolo XVIII, cominciarono a ostentare i suoi rami spezzati per indicare le parziali soppressioni o espulsioni; così lo attesta l’Arbre géographique contenant les établessiments de jésuites par toute la terre (1764) di Louis Denis.


Il 17 maggio 1824 papa Leone XII con il breve Cum multa ordinò la restituzione alla Compagnia di Gesù del Collegio Romano. Si consegnò al Superiore Generale P. Luigi Fortis detto collegio con la sua biblioteca, insieme alla Chiesa di Sant’Ignazio e l’osservatorio astronomico.
Il binomio continuità/discontinuità, per spiegare il divenire storico, anche se non nuovo nella storiografia dell’Ordine, riapparirà con maggior vigore nel secolo XIX, per affiorare diversamente ancora nella contemporaneità. Lo sforzo dello storico sarà precisamente nascondere ogni segno di rottura.
A partire del secolo XIX si è verificata una temporalizzazione della storia la quale si presenta con due caratteristiche fondamentali: una laicizzazione del tempo e un’accelerazione del suo ritmo. Il ritorno dei gesuiti al Collegio Romano, che potrebbe avere il sapore di una rivincita, aprirà fin da subito la strada a nuove sfide e a violenti conflitti.
Infranto il sogno dell’universalismo della vecchia Europa, il sistema sociale si evolse verso la differenziazione della società. I diversi sistemi (economia, politica, religione, arte, diritto, ecc.) cercheranno di ridurre la crescente complessità a partire dai propri codici di riferimento. Questo passaggio epocale costrinse la Compagnia di Gesù, restaurata in un contesto sociale nuovo, all’incessante fatica, degna di Sisifo, di interrogarsi sulla propria identità. In questi documenti potranno individuarsi le tracce di questo sforzo.
Note
- Horoscopium Geographicum universale Societatis Jesu construere quo, in omnibus Collegijs dictae Societatis toto orbe terrarum diffusis, quota hora sit uno intuitu demonstratur. Ars Magna Ars magna lucis et vmbrae in decem libros digesta Sumptibus Hernanni Scheus, ex typographia Ludouici Grignani, 1645. , p. 553. ↩︎
- Nuestra casa es el mundo è una frase di P. Jeronimo Nadal. Mon. Nat., V, 364-5. ↩︎
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