Le pratiche disimparate – Martín M. Morales


“Solo la specie umana … ha l’abitudine di raccogliere, produrre, ammassare o distruggere (a seconda dei casi) oggetti che hanno un’unica funzione, quella di significare: offerte agli dei o ai morti, suppellettili funerarie sepolte nelle tombe, reliquie, opere d’arte o curiosità naturali conservate in musei o collezioni. A differenza delle ‘cose’, questi oggetti portatori di significato, o ‘semiofori’ (come sono stati definiti) hanno la prerogativa di mettere in comunicazione il visibile con l’invisibile, ossia con eventi e persone lontane nello spazio e nel tempo, se non addirittura con esseri situati al di fuori di entrambi – morti, antenati, divinità. La capacità di oltrepassare l’ambito dell’esperienza sensibile immediata è del resto il tratto che contraddistingue il linguaggio, e più in generale la cultura umana. Essa nasce dall’elaborazione dell’assenza” [Ginzburg C. (1989), Storia Notturna. Una decifrazione del Saba.. Einaudi, Milano] Il testo di Carlo Ginzburg è la cornice precisa per questo antico regolamento per gli archivi dei gesuiti (1650). Come lo ricordò Edmond Lamalle, celebre archivista dell‘Archivum Romanun Societatis Iesu, presentando questa Instruction (AHSI 11(1942), 113-125), molti gesuiti si preoccuparono per dare norme efficaci per il buon uso di archivi e biblioteche.
Nelle Costituzioni, parte IV, cap. 6, art. 7 si danno le primi disposizioni riguardo le biblioteche. Il primo insieme di regole fu fatto sei anni dopo la fondazione della Compagnia di Gesù (1546). In concisi otto punti si prevedevano certe pratiche che oggi continuano ad essere necessarie e che non di rado restano inosservate: l’elaborazione di un catalogo, la regolamentazione del prestito, la pulizia dei locali e dei manufatti e il controllo dell’umidità. Più conosciuto è il trattato del P. Claude Clément: Musei sive bibliothecae tam privatae quam publicae extructio, instructio, cura, usus libri IV (Lyon, 1635). Il Clément pensa a una biblioteca-tempio, rettangolare, con l’immagine di Cristo crocifisso e della Madonna.  Il libro di Jean Garnier Systema bibliothecae Collegii Parisiensis Societatis Iesu (1678) è alla base dei cataloghi delle antiche biblioteche gesuitiche e si presenta come un vero trattato di biblioteconomia. L’ istruzione per gli archivi di Francia del 1660 è la prima ad essere stampata in francese. La tipologia di archivio alla quale l’istruzione si riferisce è di tipo economico-amministrativa. Ancora una volta, così come nei regolamenti per le biblioteche, il luogo doveva essere scelto con cura per evitare le minaccie del fuoco, dell’umidità e dell’intrusioni.  L’unica porta d’ingresso al magazzino doveva essere blindata con placche di ferro ed essere provvista di due serrature diverse, i mobili non dovevano essere incastrati nel muro per evitare l’umidità: “si dovrà fare attenzione per evitare la presenza di topi… e che non ci sia la polvere che è la rovina delle carte e che l’umidità che n’è la peste non li distrugga completamente… Si dovrà evitare che l’archivio si converta in un deposito ove si mette ogni cosa”.  L’eccellenza dell’archivio è il catalogo: in modo che con un colpo d’occhio la mano trovi ciò che cerca.
L’attenzione che i gesuiti avevano per i codici dovrebbe essere capita secondo questa capacità semiofora, in quanto oggetti portatori di significato. Per loro quei documenti erano pieni di significato e si credeva nella possibilità della loro trasmissione alle generazioni future. L’attuale affano per mantenere archivi e biblioteche (vera pena sisifica) dovrebbe essere capita in questo contesto drammaticamente mutato. Più volte su questo blog ho segnalato che la fatica odierna per conservare gli archivi non è dovuta alla mancanza di mezzi e persone ma rivela soprattutto l’impossibilità, che tal volta è anche rifiuto, di raccogliere il significato di questi oggetti. Trascurarli sarebbe equivalente a non farli parlare, sia perché non si vogliono sentire certi voci, sia perché si tratta di un linguaggio che ormai non si capisce. Le pratiche disimparate di tutela, effettiva e non retorica, del materiale di archivio sono eloquenti non solo del disinteresse riguardo al passato e al senso della storia ma sono anche indice delle tribolazioni del presente. Affanno del presente dovuto a non sapere guardare indietro per raccogliere testimonianze con la conseguente perdita di voce profetica e di visione di futuro.

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