La Theory U e l’archivio: sguardi incrociati


Forse nei nostri tempi gli archivi non se la passano bene ma nemmeno le organizzazioni dormono sonni tranquilli.

Qualche tempo fa un post metteva in evidenza il rapporto che oggi mantiene l’archivio col passato [Il passato non abita qui]. Nell’archivio, inteso come luogo dove è possibile esercitare la problematizzazione, si apre una dimensione temporale che mal sopporta la velocizzazione di certi processi odierni. Tra questi, in modo particolare, si possono annoverare i processi decisionali. Le organizzazioni (partiti politici, scuole, università, aziende e perfino istituzioni religiose) si mantengono in vita grazie alla presa di decisioni. Questa autopoiesi si vede ulteriormente accelerata dalla velocità che sperimentiamo. La corsa affannosa dei nostri tempi intacca, inevitabilmente, ogni passaggio nel transito verso la decisione.

La teoria U di Otto Scharmer per reagire alle fasi critiche [https://www.skilla.com/blog/la-teoria-u-di-otto-scharmer-per-reagire-alle-fasi-critiche_32/]

Nella vastissima bibliografia sull’argomento il libro di Otto Scharmer, Theory U: Leading from the Future as it Emerges. The Society for Organizational Learning, (2007) sembra aver riscosso un certo interesse in alcune istituzioni religiose. Il successo di Scharmer deriva dall’affrontare le organizzazioni con una estrema semplificazione, evitando osservazioni che potrebbero descrivere i fenomeni con una maggiore complessità. Questa semplificazione non garantisce né un guadagno conoscitivo né una descrizione adeguata dei problemi ma senz’altro calma l’ansia decisionale dell’organizzazione.

Si sono generati U-lab, corsi per U-leaders che sappiano guidare processi U (ancora non esistono corsi per i U-followers), U-coaching per gruppi che dovranno attuare i cambiamenti U … La semplicità della teoria e il processo che pretende di innescare, non concede il tempo necessario per pensare ai suoi presupposti. Il suo nome, eufonico, sembrerebbe fare appello a un coinvolgimento personale nel processo (Theory U=Theory you). Scharmer suppone che esista un “miglior futuro possibile” e che per ottenerlo basterebbe sommare la volontà dei singoli. La teoria postula, tra le altre cose, l’esistenza di un punto cieco il quale verrebbe “illuminato”, ma non si capisce come sia possibile realizzare ciò senza creare un nuovo punto cieco dal quale fare l’osservazione. Né il concetto di futuro, né il suo rapporto con il passato, né l’umanesimo che è al centro della teoria dovranno essere messi in discussione qualora si volesse arrivare a una decisione in tempi celeri. Questo è uno dei dazi che la velocizzazione impone alla riflessione.

Allo storico potrebbe interessare il punto di minimo del diagramma che rappresenta la teoria U, ove si ricomincia la risalita verso il futuro, descritto dallo Scharmer come il punto del let go of the past:

In this book, we argue that responding from the emerging future requires us to shift the inner place from which we operate. It requires us to suspend our judgments, redirect our attention, let go of the past, lean into the future that wants to emerge through us, and let it come.

Scharmer, O. Theory U: Leading from the Future as it Emerges [p. 3]

Se il decisore contemporaneo pretendesse di introdurre nel processo di decisione odierno il discernimento ignaziano, così come concepito nel XVI secolo, con la sua temporalizzazione (semmai fosse possibile riproporre quella struttura sociale e quella semantica), dovrebbe accettare un considerevole allungamento dei tempi con delle conseguenze imprevedibili. Ad ogni modo, chi intraprenda il sentiero della decisione dovrà essere disposto a districarsi attraverso una serie di paradossi, il primo del quale sarà che perfino il non decidere è già una decisione. Anche se il moto della Theory U è let go of the past [lasciare andare il passato] ciò non è altro che il mascheramento di una selezione perché la decisione, per nascere, ha bisogno di inventarsi comunque una frontiera tra passato e futuro e accettare il paradosso che una volta presa essa stessa formerà parte del passato. L’innovazione, quanto più incalza, più velocemente invecchia.

Nella storia istituzionale della Compagnia di Gesù è possibile osservare un lungo rapporto tra il processo decisionale e l’archivio. Fin dai primi momenti della nascita dell’istituzione si è fatto sentire il rapporto stretto e complesso tra l’aumento dell’informazione e la procedura decisionale.

Porque de vos –scrive Ignazio di Loyola a Pietro Fabro– es solo escrivir á uno, y de mí es escriviros á todos; que puedo dizir con verdad, que esta otra noche hazíamos quenta que las cartas, que aora embiamos á todas partes, llegavan á dozcientas y cincuenta.


Monumenta Ignatiana, Epistolae et Instructiones, II, pp. 236-238.

La crescita dell’istituzione gesuitica, contribuì alla formazione, creazione e gestione degli archivi. Alla fine del secolo XVI l’archivio fu utile in ciò che il P. Bernardo De Angelis, segretario della Compagnia, denominò l’administratio dell’Ordine.  Lo stesso De Angelis noterà che, nonostante questa utilità, alcune lettere dei superiori generali rimaranno nascoste [delitescunt] nel buio dell’archivio. Ai suoi occhi, la stampa appare come il mezzo ideale per farle conoscere; ma sarà anche l’occasione di nuovi problemi. L’aumento demografico e la pressione dell’accelerazione dei tempi si è riflessa nella corrispondenza gesuitica, che sebbene sia stato il mezzo per unire i dispersi (il suo flusso crescente con la corrispettiva portata dell’informazione) pose diversi problemi al governo centrale. Nel secolo XVIII, il padre generale Francesco Retz (1673-1750) dovette riconoscere innanzi al superiore provinciale del Paraguay, la sua difficoltà nel prendere decisioni a causa della “moltitudine e varietà” di questioni che gli venivano sottoposte.

No sé qué otra cosa pueda determinar; ni me es fácil hacerlo con acierto en tanta multitud de dudas como aquí se envían; y en que aun allá, donde están presentes a las cosas, no saben, cómo determinarlas.

P. F. Retz al P. Aguilar, 15 julio 1737.

Nel secolo XIX, a partire dalla Restaurazione dell’Ordine, la “macchina storica” si rimette nuovamente in marcia, in parte anche per orientare la “nuova” Compagnia nei processi decisionali. La vasta operazione storiografica che si innescò da quel momento, e che conservò il suo impulso fino alla metà del secolo scorso, si prometteva come un aiuto per vincere la “pigrizia mentale” e gli atteggiamenti acritici dello storico gesuita in primis e di conseguenza dei suoi lettori. [Wernz, F.J., Instructio ad praeparandam et enarrandam historiam Societatis Iesu per Assistentias vel Provincias. Acta Romana 1 (1911) 81-95.]

La razionalità moderna già non ammette più quell’adagio proprio del diritto casistico, e ampiamente consolidato nel testo delle Costituzioni della Compagnia di Gesù, secondo il quale, una volta stabilito il principio generale, si procedeva secondo i tempi, i luoghi e le persone. L’arte della prudenza, del momento opportuno, di saper cogliere l’occasione, magnificamente rappresentato nella Fontana delle Tartarughe (Piazza Mattei, Roma) che mette insieme l’ossimoro della velocità e della lentezza (Festina lente) sarebbe oggi difficilmente proponibile. L’uomo, orizzonte tra la bestia e l’angelo, si colloca tra la lenta tartaruga, che ha bisogno di ricevere una spinta, e il delfino che ha bisogno di essere trattenuto nel suo impeto. Questa antropologia reggeva grazie a una serie di stabili collegamenti tra passato e futuro e a un equilibrio ontologico degli esseri. Se la contingenza diventa la moneta corrente della modernità quella cosmologia, che si basava sulla necessarietà, sembra improbabile.

La prudenza già non basta per affrontare il futuro. La velocizzazione dei processi concede poco tempo al tempo.

Il decisore preferisce avere a che fare con un passato determinato e immobile. Per poter prendere una decisione il vincolo con il passato dovrà essere il più lasco possibile, in modo che questo legame gli permetta di assumere, oppure di prendere nuove decisioni, di stabilire nuove alternative. L’operazione storiografica spesso è stata al servizio della costruzione identitaria. Se la scrittura della storia tentenna e torna a correggere una ed un’altra volta la narrazione del passato, l’alleanza tra istituzione e produzione storica scrocchierà e l’istituzione andrà a reperirle da altre fucine narrative. Nel processo decisionale sarebbe possibile introdurre più informazione. Ma questo tornare all’archivio implicherebbe, da una parte, che il decisore si faccia carico di un aumento di incertezza davanti allo spettro decisionale e dall’altra, che non guardi il tempo solo come un signore molto avaro e poco disponibile.

La presa della decisione non implica una grande lungimiranza; paradossalmente se avessimo una conoscenza totale del futuro sarebbe catastrofico per il processo decisionale e perfino paralizzante. La decisione si presenta come la nuova “macchina storica” che istaura un punto zero per creare l’illusione di una storia che inizia, anche se, con la coda dell’occhio, continuerà a guardare alcune selezioni di passato. Magari così, in qualche modo, lo sguardo del decisore e dello storico si incroceranno.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.