Un Patrimonio senza eredi?


20 Febbraio 2025 – Giornata di studi – Aula C012

La nascita degli archivi della Compagnia di Gesù coincide praticamente con la sua fondazione. Sono serviti al governo centrale per alimentare la rete epistolare: una ragnatela, con il suo centro a Roma, che si estendeva dal lontano oriente alle Americhe. Gli archivi furono anche un potente armamentario per la costruzione dell’autorappresentazione istituzionale forgiata nei tomi dell’ Historia Societatis (1615-1710). A metà del XVII secolo, l’accumulo dei dati e l’accelerazione dei tempi rese sempre più difficile l’elaborazione dell’informazione. Al problema della conservazione di una grande quantità di documenti, si aggiunse la percezione dell’archivio come miscuglio pressoché infinito, con la conseguente costrizione a selezionare ciò che allora si riteneva materiale idoneo alla costruzione della storia.

La soppressione della Compagnia di Gesù nel 1773, in seguito al breve apostolico Dominus ac Redemptor di papa Clemente XIV, segnò l’inizio di un periodo di grandi cambiamenti per l’Ordine, con conseguenze significative anche per il suo patrimonio archivistico e librario. Questo “pellegrinaggio” si concluse con la costruzione, a Roma, di due importanti edifici: la sede della Curia generalizia a Borgo Santo Spirito (1929) e il palazzo dell’Università Gregoriana a Piazza della Pilotta (1930).

Dopo la soppressione, i gesuiti furono costretti a lasciare il Collegio Romano, che divenne la nuova sede del seminario romano.

Francesc Augstí. Cardinale Zelada, Biblioteca Vaticana, sala di consultazione.
Anton Raphael Mengs, Ritratto del cardinale Francisco Xaverio de Zelada. Tela, cm 90 × 66 . (1773 ca). The Art Institute of Chicago, Chicago (IL).

Il cardinale Francesco Saverio Zelada, fu nominato da papa Clemente XIV prefetto degli studi del seminario. Zelada è considerato una figura di spicco nel processo della soppressione dei gesuiti e tra i principali redattori del breve apostolico Dominus ac Redemptor.

La corte di Carlo III e la corte francese seppero riconoscere la sua intercessione per portare avanti il piano di annientamento dei gesuiti. Ma innanzi agli stessi ignaziani non si presenterà come un nemico ma come colui che riuscirà ad amministrare nel miglior modo il patrimonio del Collegio Romano.

Sul suo conto, le narrazioni storiche abbondano in dettagli. Ma di tutte quelle realtà fittizie il dipinto di Mengs ne riassume i tratti più significative per considerare le evoluzioni in atto.

Le distinzioni conservazione e cambiamento fanno emergere la simultaneità della diversità. È possibile considerare Il funzionamento di questa dialettica attraverso la categoria stile. Sebbene il concetto era già operativo, a partire da Johann Joachim Winckelmann (1717-1768) lo si ancorerà al tempo. Questo permetterà al sistema sociale di realizzare nuove cesure tra passato e presente nel transito dell’Ancien regime verso la modernità avanzata. Il “neoclassico” Mengs, seguendo la categoria dello stile, si opporrà al “turbinio” del Barocco per aprire la strada alla “profondità di un mare che resta sempre immobile per quanto agitata ne sia la superficie”. Una stile di pittura, seguendo il ragionamento di Winckelmann, capace di mostrare “un’anima serena e posata”. Questa rappresentazione del Cardinale Zelada funziona precisamente nell’agitazione e nell’accellerazioni di quei tempi.

A differenza del ritratto dipinto dal suo discepolo Francesc Agustí, Zelada sembra essere pronto a realizzare una conversazione erudita. Il cardinale si mostra rilassato e lontano da ogni cerimoniale. Un ricco mantello di ermellino ricopre la veste cardinalizia e forse la croce pastorale. Un sfondo anonimo non lascia trapelare niente dei suoi compiti cardinalizi né delle sue cariche. Non ha un libro in mano né un biglietto ma la berretta cardinalizia come se fosse stata appena tolta per la realizzazione del ritratto. Il dettaglio probabilmente fu osservato da altre fonti contemporanee: “Pettinarsi la chioma ogni momento / ontarla di manteca o pur di strutto … / portar la croce sol per ornamento”. Zelada è “intrigante”, “coltissimo”, “astutissimo” e “dissoluto”1. Una satira, apparsa all’indomani dell’elezioni al soglio Pontificio di Pio VI, Il conclave di Clemente XIV (1775), lo presenta come: l’ecumenico all’attuale servizio di tutte le corti. Tra i cardinali che, da una parte auspicano il ritorno dei gesuiti, denominati i “regi” o delle “corone”, e quelli chiamati “zelanti” i nemici di ogni riabilitazione della Compagnia, il cardinal Zelada nel dipinto del Mengs naviga sereno in quella tempesta.

Collezionista di strumenti scientifici, di antichità e di manoscritti, amante delle scienze naturali, Zelada farà circolare libri e oggetti del Collegio Romano e del Museo Kircheriano, che finiranno nella sua residenza romana a Palazzo Margani, nei musei Vaticani, nei Musei Capitolini e nella biblioteca della cattedrale di Toledo.

Juan Andrés, gesuita spagnolo che rappresenta l’erudito di quel secolo, narra in una lettera a suo fratello Carlos (1785) il suo periplo per le biblioteche pubbliche e private di Roma. Il racconto di ciò che vede a palazzo Margani, sembra inaugurare lo sguardo del collezionista:

«La scala è un museo lapidario, perché è tutta piena di lapidi greche e romane; e arrivando alla vasta libreria si va a cinque o sei sale tutte piene di libri, alcuni rari, altri preziosi per qualche circostanza particolare e i più molto buoni… manoscritti antichi e moderni tra i quali oltre a molti preziosi per quello che contengono ce ne sono altri molto rari… Il suo Museo delle medaglie è particolare per la grande collezione che ha di assi, semiassi e altre monete di questo tipo […] Molti idoli, vari strumenti antichi e altri oggetti d’antiquariato formano un buon pezzo di museo antiquario. Anche il museo di storia naturale è bellissimo, organizzato con simmetria e buon ordine in più di una stanza. Un altro molto grande occupa le macchine di fisica sperimentale… due o tre sale contengono il museo anatomico […]. Oltre a tutto questo in altre sale superiori c’è un osservatorio astronomico, e in altre inferiori una piccola galleria di quadri…»2

Nel 1824 papa Leone XII dispose il ritorno dei gesuiti al Collegio Romano. Quello che potrebbe sembrare una vittoria inaugurò una serie di nuovi conflitti.

Nel XIX secolo gli archivi risorgono dalla frattura rivoluzionaria. Al suo interno si celavano i materiali ove cercare il passato come veramente (wirklich) era accaduto. Anche la Compagnia di Gesù restaurata nel 1814, seguendo i dettami del positivismo storiografico, rivolse il suo sguardo verso i propri archivi, i quali spesso accompagnarono i suoi possessori nell’esilio, per presentarsi non come una nuova Compagnia ma come quella uscita dalle mani di Sant’Ignazio. La soppressione del 1773 era stato solo uno dei tanti colpi ricevuti ad maiora.

Archivi e biblioteche racchiudevano il passato e orientavano nel presente avverso e assicuravano il futuro. Il giovane gesuita Luis Martín, poi divenuto generale della Compagnia, ricorda la messa in salvo della biblioteca della residenza di San Marco a León (Spagna) prima che arrivassero le truppe per occupare l’edificio nei giorni drammatici: Tantissime scatole piene di libri furono mosse dalla biblioteca alla portineria attraverso una catena di fratelli per portarli dopo ad alcune case di amici nella città… Non dimenticherò mai quanto sembrava triste San Marco, la paura che i rivoluzionari entrassero l’indomani e portassero via tutto quello che avrebbero trovato ci dava la forza per salvare dalle loro grinfie quanto fosse possibile.

Il testo di Martín evoca l’immagine di Enea che carica su di sé il padre Anchise mentre conduce per mano suo figlio Ascanio. Il corpo gesuitico esiliato, e lo sarà durante quasi tutto il XIX secolo, marcia carico del suo patrimonio.

Quo res cumque cadent, unum et commune periclum, / una salus ambobus erit. (Virgilio, Eneide, II, 707-710).

Durante questi spostamenti, archivi e biblioteche condivisero le vicissitudini dei gesuiti, seguendone le sorti. Come nel celebre verso dell’Eneide: Dovunque volgerà la sorte, uno e comune sarà il pericolo, una sola la salvezza per entrambi. Il destino degli uomini e dei loro beni sembrava indissolubilmente legato.

Tuttavia, con il mutare dei tempi, questo legame si spezzò, dando il via ad una frammentazione del patrimonio. Alcuni nuclei furono venduti a istituzioni ecclesiastiche o a bibliofili, mentre altri codici continuarono ad alimentare l’insegnamento e la ricerca accademica. Cospicua parte di questa eredità, tuttavia, conobbe un destino più incerto. A partire dalla seconda metà del Novecento, molti codici, privi di una chiara attribuzione commerciale e considerati di scarso valore, rimasero in una sorta di limbo, invisibili e dimenticati.

Quali sono le condizioni di possibilità per trasmettere ciò che abbiamo ricevuto affinché osservandolo possa ancora sorprenderci?

Vi aspettiamo il 20 Febbraio per riflettere insieme.

Notas

  1. Illuminismo e ilustración: le antichità e i loro protagonisti in Spagna e in Italia nel XVIII secolo (L’Erma di Bretschneider, 2003) ↩︎
  2. Cartas familiares del abate D. Juan Andrés a su hermano D. Carlos Andrés (Imprenta de Sancha, 1793) ↩︎


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