I manoscritti di Francesco Manera


Fra i numerosi manoscritti conservati presso l’APUG vi sono quelli del padre di origini napoletane Francesco Manera (1). Nato nel 1798, entrò nella Compagnia di Gesù nel 1816. Giovanissimo, insegnò prima teologia presso il Collegio romano (1824) e poi Eloquenza italiana presso l’università Regia di Torino (1825-1829): di quest’ultima esperienza è rimasta testimonianza manoscritta in due libretti dove Manera prendeva appunti per tenere le sue frequentatissime lezioni (2). Nel 1830 venne richiamato a Roma ufficialmente in veste di professore di Teologia dogmatica presso il Collegio Romano, ma in realtà poiché era stato nominato dal padre generale della Compagnia, l’olandese Jan Roothaan, nella commissione che doveva occuparsi di aggiornare la Ratio Studiorum, la cui ultima riforma risaliva al 1616: la commissione era formata da cinque padri che dovevano rappresentare le relative province di appartenza (francese, italiana, sicula, tedesca, spagnola), dove il giovane Manera venne scelto come rappresentante della provincia italiana (3). Questo lavoro durò un paio di anni e nel 1832 la nuova Ratio venne approvata: nello stesso anno Manera prese i voti definitivi e poté iniziare a dedicarsi alle sue due passioni, lo studio e la didattica. Sul finire del 1841 tornò nella sua città natale per insegnare teologia e nel giro di pochi mesi venne nominato Preposito Provinciale (1842), carica che accettò quasi a malincuore viste le difficoltà che avrebbe comportato gestire una Provincia come quella napoletana, che in quel periodo versava in una grande crisi economica e di immagine (4). Le insistenze di padre Roothaan lo convinsero ad accettare l’incarico che svolse comunque con grande dedizione, ottenendo l’appoggio della corte borbonica e riuscendo a risanare la situazione oltre che a riformare gli studi impartiti nei collegi della provincia (5): del resto il suo provincialato venne ricordato più tardi come uno dei periodi più felici della Compagnia nel Regno di Napoli (6). Nonostante questo, nel 1846 il Manera fu repentinamente trasferito a Roma, dove gli venne affidata la carica di rettore del Collegio Romano: il trasferimento fu una sorta di “punizione” infertagli dal Preposito Generale per aver sostenuto lo storico francese Cretineau de Joly, cui era stato negato l’accesso agli archivi della Compagnia per motivi di studio (7). Da studioso quale era, il padre napoletano si schierò in difesa del Cretineau, dimostrando così una grande coerenza intellettuale, che già si era potuta intravedere nella sua opera di riformatore degli studi. Giunto a Roma sul finire del 1846, nel settembre del 1847 morì, dopo mesi di precarie condizioni di salute che lo costrinsero a letto per quasi tutta la durata del suo ultimo soggiorno romano.

I manoscritti ricollegabili all’attività intellettuale di p. Manera sono svariati: AC. 144; F.C. 2230/1 ; F.C. 2230/2; F.C. 1474 A; F.C. 1492; F.C. 1913; F.C. 1919; F.C. 1922; F.C. 2173 (8). Già dalla loro quantità si evince con chiarezza la grande predisposizione del Manera alla scrittura, in particolar modo di appunti o note molte brevi che riempiono innumerevoli i suoi manoscritti. Pochissimi sono infatti i testi che possono definirsi completi: non è un caso se il padre napoletano, a fronte di questa vasta produzione manoscritta, non diede mai alle stampe neanche una minima parte della sua opera, proprio perché essa è costituita per buona parte da semplici appunti o brevi testi di poche pagine. Inoltre è stata riscontrata nella sua figura una mancanza di ambizione che lo portò a non pubblicare mai nulla e a condividere le sue riflessioni esclusivamente con pochi amici e, nel corso delle lezioni, con i suoi alunni (9). Eppure egli fu molto stimato da svariati intellettuali italiani del suo tempo, con cui fu anche in contatto epistolare: fra essi spicca un nome eccellente come Alessandro Manzoni, con il quale Manera intrattenne una breve corrispondenza (10), e di cui elogiò nella prolusione di apertura all’anno accademico 1827 dell’università di Torino, la fatica letteraria dei Promessi Sposi, pubblicata quello stesso anno.
Gli interessi di studio del Manera furono diversi e ciò si rispecchia anche nei suoi manoscritti, a dimostrare una preparazione culturale molto ampia, che non a caso era uno dei tratti più apprezzati della sua personalità. Se si escludono appunti di argomento teologico, presenti in molti manoscritti nella forma di citazioni da padri della chiesa brevemente commentate, il tema più trattato è senza dubbio quello della lingua italiana, questione cardine nel confronto erudito liberale di quegli anni e di forte pregnanza identitaria in chiave nazionalistica, in linea con quella serie di dibattiti che precedettero e diedero un preciso carattere culturale al Risorgimento italiano (11). Nei manoscritti di Manera conservati presso l’APUG (12) troviamo infatti appuntate, in modo quasi ossessivo, migliaia (forse decine di migliaia) di parole accompagnate dall’indicazione del dialetto in cui venivano usate, dal relativo significato, da un esempio sul loro uso e infine da uno stringato commento che ne sentenziava il grado di correttezza. Alla luce di ciò, questi manoscritti rappresentano oggi una fonte totalmente inedita di informazioni per il dibattito sulla questione della lingua, una fonte però di difficile interpretazione visto il disordine e la casualità con cui è stata compilata: spesso gli appunti sono infatti sovrascritti sul testo di lettere ricevute dal Manera, oppure in fogli rozzamente ritagliati o, ancora, mischiati con altri appunti di argomento diverso, per cui venirne a capo risulta davvero un arduo compito (13).
Interessanti risultano anche alcuni fascicoli del manoscritto F.C. 1922, dove il Manera trascrive pedissequamente le recensioni che comparivano nei periodici bibliografici dell’epoca come la Biblioteca italiana, le Efemeridi letterarie di Roma e il Giornale arcadico. I titoli dei libri lasciano trasparire ancora una volta i vasti interessi culturali e scientifici del gesuita napoletano, nonché la volontà di tenersi sempre aggiornato sulle principali novità editoriali che venivano pubblicate in Europa.
Ci si augura che a questo breve excursus corrispondano iniziative di studio sistematico dei manoscritti di padre Manera, visto che la sua attività intellettuale è stata fino a oggi nota soltanto attraverso una parte della sua corrispondenza e i manoscritti conservati fuori dall’APUG.
(1) Si veda l’authority filecreato in MANUS dall’APUG. L’unica biografia del Manera di cui disponiamo è quella di Luigi Palumbo, Vita Francisci Manerae sodalis Societatis Jesu, Napoli, excudebatur typis haeredum Migliaccii, 1848, scritta all’indomani della sua morte.
(3) Si veda in proposito Emma Abate, La cultura gesuitica a Napoli alla vigilia del 1848 tra innovazione e tradizione : padre Francesco Manera, in Stato e società nel Regno delle Due Sicilie alla vigilia del 1848 : personaggi e problemi. Atti del Convegno di Studi, Napoli 26-28 novembre 1998, a cura di Renata De Lorenzo, Napoli, Società napoletana di Storia Patria, 2001, pp. 263-322, p. 264.
(4) Ivi, pp. 287-288.
(5) Per un resoconto dell’attività di Preposito Provinciale svolta da Manera si veda Ivi, pp. 289-315.
(6) Michele Volpe, I gesuiti nel Napoletano, Napoli, Tipografia editrice pontificia M. D’Auria, 1915, pp. 370-400.
(7) E. Abate, La cultura cit., p. 315-316.
(8) A questi vanno aggiunti i seguenti conservati oggi presso la Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II di Roma: Ges. 1128-1135, 1139-1140, 1350, 1354.5, 1559-1561, 1596. Infine da una ricerca su Manus, il nome di Manera è risultato presente anche in Napoli, Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III, ms. Villarosa 18; Milano, Biblioteca nazionale Braidense, Manz.B.I.69; Torino, Biblioteca Nazionale Universitaria, Peyron, 304.
(9) E. Abate, La cultura cit., p. 268. L’unica opera a stampa che uscì a suo nome fu pubblicata postuma nel 1848: si trattava delle Testimonianze dei Sommi Pontefici a favore della Compagnia di Gesù, opera basata sul manoscritto Ges. 1139 della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma.
(10) Se ne veda il testo nella versione elettronica dell’epistolario manzoniano presente nella Biblioteca Digitale Italiana ai seguenti indirizzi: http://www.bibliotecaitaliana.it/xtf/view?docId=bibit000303/bibit000303.xml(1803-1832: nr. 281, 22 gennaio 1828); http://www.bibliotecaitaliana.it/xtf/view?docId=bibit000600/bibit000600.xml (1833-1853: nr. 415, 2 giugno 1833; nr. 448; nr. 720, 13 gennaio 1844 ).
(11) Sul tema si veda per esempio Giuseppe Farinelli [et al.], Storia del giornalismo italiano dalle origini a oggi, Torino, UTET Libreria, 2004.
(12) AC 144, F.C. 2230/2, F.C. 1922.
(13) Il disordine regnante nei manoscritti del Manera era già lamentato in Giuseppe Melandri, Intorno allo studio dei Padri della Compagnia di Gesù nelle opere di Dante Alighieri; lettera del P. Giuseppe Melandri dellamedesima Compagnia al Antonio Donati, Modena, Tip. di L. Gaddi già Soliani, 1871, pp. 58-59.

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