C’era una volta l’archivio …


L’archivio è un corpo formato da documenti.  Ma la nozione di corpo più che rimandarci a una totalità complica le cose giacché il concetto stesso di corpo ha sempre qualcosa di instabile, di frammentario e di inafferrabile. Crediamo o ci illudiamo di possedere il corpo altrui o il proprio, tuttavia tocchiamo sempre una parte, ci lamentiamo riguardo una sezione o godiamo in determinate zone. Alcune regioni del proprio corpo rimangono per noi come terre da scoprire; talvolta sono altri a darcene qualche ragguaglio. Solo nell’istante della sua nascita o della sua morte il corpo si manifesta nella sua totalità.

Da lontano, l’archivio sembra un corpo documentale, eppure sotto uno sguardo ravvicinato si frammenta, qualche membro è altrove o si dimostra drammaticamente mutilo. Un’osservazione più attenta ci fa capire che l’archivio, così come accade per il corpo del reato, è costituito da uno sguardo che ha determinato volutamente i suoi limiti, i suoi obiettivi, insomma che l’ha costruito nel momento di designarlo tale. L’archivio, non è semplicemente dato, naturalmente istituito, è modellato da qualcuno, ha delle parti segretate, delle pudende. Nondimeno, ciò che è mostrabile mantiene sempre una qualche opacità, in primo luogo a causa degli strumenti che ne regolano l’accesso, dunque cataloghi e inventari che hanno la funzione di indicare in base a una determinata selezione. In secondo luogo, la stessa scrittura mantiene sempre una reticenza: «Un testo è un testo solo se nasconde al primo sguardo, al primo venuto, la legge della sua composizione e la regola del suo gioco» (J. Derrida, La farmacia di Platone). Questo nascondimento della legge e della regola non ubbidisce a un segreto voluto, ma alla immediata indisponibilità del passato nel presente.

L’archivio-corpo, considerato nella sua materialità, porta con sé tagli, marche e ferite che hanno una capacità narrativa e costituiscono, insieme alle altre condizioni della testualità, la coerenza ex parte obiecti.  Questa dimensione narrativa, spesso trascurata, deve essere aggiunta  per arricchire il textum. L’APUG, oltre a testimoniare molti segni d’uso, di danni, e d’oblio, come molti archivi gesuitici, racconta di una itineranza. I quasi sei milla codici del fondo antico sono un resto dei manoscritti che durante quasi tre secoli rappresentavano la ricerca e l’insegnamento al Collegio Romano. Questi documenti sono il risultato di complesse operazioni di produzione, collezione, conservazione e scarto.

Dopo il 1870 quasi la metà del suo attuale posseduto, oggi denominato fondo APUG, è rimasto nelle mani dei gesuiti transitando dal Collegio Romano alla residenza professa del Gesù, allora sede della curia generalizia. Dopo quella data il resto dei manoscritti, insieme a tutta la biblioteca del Collegio Romano, sono stati incamerati dallo Stato italiano per costituire la Biblioteca nazionale centrale di Roma. Agli inizi del XX secolo gli stessi gesuiti hanno deciso di vendere una quantità importante di manoscritti alla Santa Sede. Negli anni ‘40 lo Stato italiano ha voluto  riconsegnare ai gesuiti all’incirca  duemila codici della Biblioteca centrale di Roma.

L’archivio, dalla sua costituzione ad oggi, ha avuto quattro sedi all’interno dell’edifico dell’università Gregoriana. In questo nomadismo potranno leggersi scelte strategiche, spostamenti di interessi, sforzi di valorizzazione. Questa ed altre mutazioni dell’edificio costituiscono di per sé una storia che d’altronde è difficile trovare plasmata nella documentazione archiviata.

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Traspontina. Antico muro romano (lato nord)

Nel 1930, anno di inaugurazione dell’università Gregoriana, l’archivio si trovava nella parte dell’edificio conosciuta con il nome di “traspontina”. I locali destinanti all’archivio erano stati ricavati all’interno dell’antico complesso architettonico di epoca romana. Il deposito era l’attuale aula T300 con una finestra rivolta a nord e tre verso sud. La sala di consultazione era l’aula 30, oggi destinata ad ufficio.

Muro romano lato sud (Trasportina)
Muro romano lato sud (Trasportina)

Nell’arco di tempo tra il 1948 e il 1955, il verificarsi della rottura, in ben due occasioni, dell’impianto idrico del locale del piano superiore, ha determinato un peggioramento dello stato di conservazione dei fondi e l’insorgere di evidenti danni da inflitrazioni d’acqua e umidità.

L'archivio come specchio di una istituzione. Martín M. MoralesNel 1956 si  è deciso pertanto di spostare l’archivio all’interno dell’edificio centrale, situandolo in parte nel locale sovrastante il corridoio davanti alla cappella degli alunni e, in parte, in quello sovrastante la sagrestia della medesima cappella. Questo spostamento coincide anche con una sensibile diminuzione della presenza di ricercatori gesuiti nell’archivio. Nel 1983, con l’occasione della riforma della cappella e della creazione di uno spazio destinato alla attuale libreria, l’archivio è stato nuovamente dislocato all’interno della comunità gesuitica, rimanendo nell’edificio centrale.   Si tratta di un ammezzato ove si trova la zona di servizio della comunità stessa. In questa opportunità il corpo documentale è stato smembrato separando la parte “antica” da quella “moderna”. Il fondo antico è stato infatti collocato in un stanza attigua alla lavanderia, mentre i fondi moderni rimasero alloggiati nella stanza C007 sottostante i locali della precedente ubicazione.  Materiali quali microfilms, videocassette, fotografie sono stati depositati in armadi chiusi lungo un corridoio di passaggio.

Nel 2006 l’archivio ritornò in “trasportina”, nuovamente organizzato e distribuito tra il piano terra e il primo piano in locali di deposito, uffici e sala di consultazione,  trovando così la sua sede attuale e quell’organizzazione che oggi permette una migliore conservazione dei fondi e fruizione per i ricercatori.  L’antica rovina, ancora una volta, si fece scrigno del passato.

Martín M. Morales

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5 risposte a "C’era una volta l’archivio …"

  1. Cher Père,

    Merci de faire revivre cette mémoire,

    J. Joblin sj

    Il giorno 7 dicembre 2015 12:36, Archives of Pontifical Gregorian

  2. Anche se mutilato e ricomposto, con ferite aperte e cicatrice è bello vederne la sua forza e sapere che ancora vive …. rivive in ambiate sano e svolge la sua missione di conservazione e studio della memoria.
    Buon lavoro Nicoletta

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