Il cardinale e l’arte di conversare


Dalla corrispondenza di San Roberto Bellarmino, pubblicata integralmente in GATE, selezioniamo una lettera del cardinale Francesco Maria Tarugi (Montepulciano, 27 agosto 1525 – Roma, 11 giugno 1608), figlio spirituale e novizio di San Filippo Neri, chiamato dux verbi dal cardinale Baronio. Nel salutare la creazione al cardinalato di Roberto Bellarmino, il Tarugi coglie l’occasione per dare una serie di avvertenze al nuovo cardinale.

Francesco Villamena (1604). Metropolitan Museum of Arts, New York, US.

Una delle raccomandazioni al Bellarmino è di non abbandonare la “conversatione umile acquistata nel chiostro”. Di questo concetto, di vasta ampiezza semantica, arrivano a noi pochi brandelli che lo rendono di difficile comprensione.
La conversatione indicava un modo di stare al mondo, di relazionarsi. Il suo riferimento immediato denotava lo stare insieme più che l’atto della locuzione: il conversare, e la gente stessa unita, che conversa insieme (Crusca, 1612). In quest’arte, come ricorda Montaigne, il silenzio e la modestia sono qualità utilissime. Pratica antica questa della conversatione, che fu teorizzata da Stefano Guazzo (1530-1593) nel suo trattato della Civil conversatione (1574), che tendeva a regolare le strategie delle relazioni interpersonali in un mondo sempre più complesso nel quale era necessario rispondere a una serie di aspettative nei confronti dell’altro.

Importante era la parola arguta, tanto come il silenzio opportuno, tacere era anch’esso un’arte. Ma la conversazione era, come il Guazzo afferma, un “tempio”, vale a dire, uno spazio nel quale si costituiva un habitus ove si generavano comportamenti regolari e regolati (Pierre Bordieu). “Principalissima azione della vita” era la conversazione per Torquato Tasso (Il Porzio. Dialoghi). Uno spazio nel quale era possibile differenziarsi e ristabilire gerarchie, adeguarsi, cedere il posto e accomodarsi all’altro. Tutti atteggiamenti propri dell’honnête homme. Nell’Honnête Homme ou l’art de plaire à la Cour de Nicolas Faret (1630) si accomoda verso il basso solo chi è in alto, essendo la strada opposta totalmente preclusa. Spunto fondamentale questo per descrivere l’umiltà in una società differenziata al suo interno in modo gerarchico. Come insegnava Jean de La Bruyère: L’arguzia della conversazione non consiste tanto nel mostrarne molta quanto piuttosto nel lasciare agli altri di trovarne: chi dall’incontro con voi esce soddisfatto di sé e del proprio ingegno, lo è mirabilmente di voi. (Les Caractères ou les Mœurs de ce Siècle). Da questi tratti sarà possibile avvicinarsi all’invito che il Tarugi rivolge al cardinale Bellarmino di conservare la conversatione umile imparata nel chiostro.

“È stata providentia di Dio, e voluntà et authorità di N.ro S.re Papa Clemente VIII che lei sia hora Cardinale. Sempre V.S. Illustrissima s’è posto nel più basso luogo del convito, ma quello che fece l’invito, l’ha presa per la mano, e dettole: Amice, ascende superius. Io me ne rallegro con santa Chiesa, con sua Beatitudine, et col Sacro Collegio dell’Illustrissimi Signori Cardinali. Ma con lei, mirando a le sue sante occupationi, cosi dalli studii, come de la devotione, me ne condoglio, come san Gregorio piangeva la sua Racchelle et la sua picciola cella. I concistorii, le messe, le congregationi, le visite et revisite, li faranno far’ multa jattura di pretioso tempo; bisognerà esser’ servito da mercenarii, tener’ conto d’intrate, complir col mondo; et tante cose v’è in questo rovescio, che non se ne sta in capitale col dritto de la medaglia. Nondimeno in cotesti luoghi alti, in gravissimi negotii del governo de la Santa Chiesa universale, può con maturo et saggio consiglio un’ Cardinale, con una sola parola detta al suo tempo con spirito et prudentia, più giovare a se stesso et al bene publico, che non in molt’anni ne la retiratezza de la vita religiosa.

Conserviamo in questo grado sublime lo spirito et conversatione umile acquistata nel chiostro; che piu resplenderà hora in cospetto dell’huomini come città posta sopra del monte; et il molto R.do P. Generale, et l’altri R.di PP. se bene piangono questa porta, hora aperta, nondimeno con l’occasione et col tempo, conosceranno ch’è stata vocatione de lo Spirito Santo, et N.ro Signore, spero, non li darà più causa di disgusti. Le sono servitore come sempre l’ho osservata et amata, et la prego mi comandi che non potrà farmi maggior’ gratia. Et bacio a V. S. Ill.ma la mano. Da Siena alli 6 di Marzo 1599.
Di V. S. Ill.ma et R.ma
Humil.mo Servitore.”

Francesco Maria Cardinale Tarugi a Roberto Cardinale Bellarmino, Siena 6 marzo 1599.

Questa lettera appartiene alla collezione Epistolae Bellarmini Cardinalis edita nella piattaforma GATE. La collezione epistolare di Roberto Bellarmino fa parte dei Monumenta Bellarmini.

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