Carte da bruciare


La giornata di studio dello scorso 16 marzo ci ha permesso di considerare il fondo manoscritto del gesuita Luigi La Nuza (1591-1656). Una parte di questa documentazione, pressoché illeggibile e fortemente deteriorata, spinge al limite tanto lo sguardo dello storico quanto la perizia del più zelante conservatore. Perfino chi dovesse catalogare queste carte dovrebbe rinunciare alla sua disamina per stabilire la fascicolazione, per le variazioni delle mani che intervengono o per attribuire titoli; la manipolazione di questi fragili fogli aumenterebbe il suo degrado.

P. Luigi La Nuza, La risurrezione di Lazaro. Punti di sermone.

Se per il conservatore queste carte sono praticamente intangibili per lo storico sono illeggibili. Per gli uni e per gli altri entra in crisi il concetto di fruizione che dovrebbe guidare le loro operazioni.

Un’alternativa per superare questa aporia è riflettere sull’indisponibilità di questi fogli. Una tale riflessione potrebbe mettere lo storico e il conservatore in condizioni di realizzare nuove osservazioni che considerino, non tanto le carte in sé, ma come sono osservate. Per compiere quest’osservazione di secondo ordine sarebbe opportuno superare alcuni ostacoli epistemologici.

Come ci ricorda Gaston Bachelard: “Arriva un momento in cui lo spirito preferisce ciò che conferma il suo sapere a ciò che lo contraddice, in cui opta per le risposte piuttosto che per le domande, allora lo spirito conservatore domina e la crescita intellettuale si ferma”1. Mantenere la vigilanza epistemica è contrastare lo spirito conservatore, è disarmare l’illusione della conoscenza immediata e superare l’ingenuità del senso comune. Ogni disciplina dovrebbe individuare i propri ostacoli epistemologici che le impediscono di muoversi dal proprio dogmatismo e dalla sua prima astrazione.

Per Bachelard, la pratica scientifica è permanentemente minacciata dall’errore, per questo la conoscenza dovrebbe essere costantemente rettificata.

In primo luogo, è possibile rettificare l’operazione storiografica. Alcuni storici lo sanno: il passato, nella storiografia contemporanea, non arriva al ricercatore nel momento in cui l’archivista finalmente gli concede i documenti richiesti. In quell’istante si compie un dramma, nel quale la storia è il risultato della contemporaneità del non contemporaneo2. Per occultare questo paradosso lo storico dovrà usare dei modelli che rendano plausibile la sua operazione che, in quanto tale, è sempre operazione in un presente. Questa osservazione non la realizza il singolo storico ma il sistema storiografico che conosce secondo determinate distinzioni.

In questo senso, le logore carte del “apostolo della Sicilia” sono una sineddoche dell’illeggibilità di ogni documento. Il documento è tale in quanto ricevuto, la sua comprensione è solo possibile grazie a un modello di intelligibilità. Anche questa è storica e quindi legata al sistema sociale nella quale si realizza. È in quella struttura sociale che si determina il limite del possibile e dell’impossibile, di quello che è credibile o no, di quello che si può enunciare oppure resta indicibile.

Un secondo ostacolo da superare è l’impero della osservazione ontologica. “Mondo” rimanda sempre a una prima distinzione. Come direbbe Rainer Maria Rilke nella prima delle Elegie Duinesi: mondo è sempre mondo interpretato (gedeuteten Welt). A partire dalla teoria ontologica del mondo, propria della vecchia Europa3, alcuni ritengono ancora che sia possibile separare l’opera letteraria, la quale sarebbe un “oggetto invisibile”, dalle sue manifestazione materiali (libro o manoscritto) che costituirebbero il suo “oggetto visibile”.

La materia di per sé è muta. La materia è una precondizione necessaria per la comunicazione ma essa non comunica, non contiene nessuna informazione. Le informazioni sempre dipendono dall’osservatore, dalle sue distinzioni, perfino quando l’osservatore è il sistema scienza. Dalla “osservazione” galileiana, che postulava una assoluta oggettività, all’osservazione della scienza contemporanea, l’attenzione si è spostata sull’osservatore.

La riconoscibilità di questi manoscritti, sottoposti al nostro sguardo, riveste un’alta complessità. Si è reso difficile identificare la sua forma, vale a dire i criteri di composizione, di selezione del materiale e i possibili destinatari, l’uso e il perché della sua conservazione. Per i contemporanei di La Nuza molte delle sue carte dovevano essere destinate alla distruzione, come dichiara un testimone al processo di beatificazione, non soltanto per la loro illeggibilità ma perché erano individuali. Erano considerate in quanto produzione di un individuo, che all’epoca non era sinonimo di soggetto ma di inordinatus. Individuum est ineffabile si ripeteva dall’antichità alla prima modernità. Quindi nelle scritture che rimandavano a una individualità non c’era niente di esemplare da riscattare né da imparare, come succederà invece quando all’individuo La Nuza lo si osserverà come «santo». Allora, quelle carte si riscatteranno dall’oblio e meriteranno di essere ricordate a partire dal binomio virtù/no virtù. Da testo si convertiranno in reliquie. L’illeggibilità non è altro che l’incarnazione della virtù della povertà. L’inconcluso processo di canonizzazione del predicatore gesuita, le sue riprese e abbandoni, sono un indice di questa alternanza di sguardi.

Rappresentazione della Passione.

Le osservazioni dell’oggetto materiale si realizzano in un determinata temporalità. Considerare un oggetto che proviene dal passato è un’azione che si fa a partire da un determinato presente. Così come un testo è tale nella misura in cui è ricevuto da un lettore, allo stesso modo è possibile affermare che l’esistenza materiale degli enunciati è osservata a partire da un determinato sistema sociale, per mezzo distinzioni. Solo la possibilità di descrivere in modo adeguato quel sistema potrà darci qualche probabilità per rendere la nostre pratiche più consistenti.

L’osservazione propria della pratica conservatrice e di quella storiografica dovrebbe superare il realismo ingenuo pero il quale l’informazione si conserva da qualche parte, in un determinato contenitore. In questo senso, nessun archivio è deposito d’informazioni, tanto meno di “memoria”, ma uno spazio che attende di essere osservato.

Note

  1. G. Bachelard, La formation de l’esprit scientifique (1938). ↩︎
  2. Si veda N. Luhmann, Die Gesellschaft der Gesellschaft (1997). ↩︎
  3. L’espressione si trova in F. Nietzsche, Così parlò Zarathusta: “Se non forse, – se non forse – oh perdonami un vecchio ricordo! Perdonami una vecchia canzone per il levar della mensa che composi una volta tra le figlie del deserto: – giacché anche presso di loro spirava una buona e limpida aria orientale; è laggiù che fui più lontano dalla vecchia Europa nuvolosa, umida e malinconica”. ↩︎

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