Nel mese di dicembre 2014 e nel mese di febbraio 2015 si è proceduto alla trascrizione completa del testo della prima disputazione del trattato De Deo uno et trino di Antonio Pérez S.J., intitolata De Deo uno e contenuta nel manoscritto di Fondo Curia F.C. 542rec.
La disputazione è collocata tra il f. 1 e il f. 91 e, sebbene presenti un testo sostanzialmente parallelo a quello dell’edizione a stampa (A. Pérez, In primam partem Divi Thomae tractatus quinque. Opus posthumum, Typis Angelo Barnabo dal Verme, Roma 1656, pp. 1a-18b), contiene una porzione consistente di fogli inediti, rintracciabile tra il f. 14 e il f. 23. Si tratta di pagine particolarmente difficili da decifrare dal punto di vista filosofico, nelle quali il gesuita spagnolo approfondisce e difende la propria definizione di ens reale, fornendo anche chiarimenti importanti sulle diverse definizioni di unum, anche in relazione alla questione della unitrinità di Dio, che verrà affrontata al termine del trattato De Deo uno et trino. È probabile che, vista la difficoltà e la sottigliezza della discussione, si sia deciso di non pubblicare quelle pagine del manoscritto. Del resto il gesuita Hugo Hurter (1832-1914) ricorda che le opere di Antonio Pérez furono «certamente egregie, sebbene oscure per la loro acutezza»[1].
La disputazione De Deo uno tradizionalmente doveva contenere una discussione sulla possibilità per la ragione umana di dimostrare l’esistenza di Dio, a partire dal testo tommasiano di Summa theologiae, Ia, q. 2, aa. 1-3. La scansione del testo pereziano segue, infatti, la stessa struttura generale del testo di Tommaso d’Aquino (a. 1 «Utrum Deum esse sit per se notum»; a. 2 «Utrum [Deus] sit demonstrabile»; a. 3 «An Deus sit»), sebbene in esso si trovi una mole consistente di considerazioni che non sono presenti nel testo della Summa theologiae e che prevedono una conoscenza approfondita della metafisica pereziana e della tradizione scolastica riguardo alla dimostrabilità dell’esistenza di Dio.
Sebbene, infatti, Pérez accolga le cinque vie di Tommaso, limitandosi a fornirne un breve riassunto, e prenda le distanze dalla struttura argomentativa dell’unum argumentum di Anselmo d’Aosta, egli propone due prove ontologiche dell’esistenza di Dio che avranno una certa fortuna nella scolastica successiva. Nel commentare, poi, la terza via di Tommaso d’Aquino, che prende le mosse, come è noto, dal possibile e dal necessario, il gesuita spagnolo ne da una propria rielaborazione con l’innesto di una struttura argomentativa che ricorda la dimostrazione ex veritatibus eternis di Agostino.
Si fornisce di seguito la ricostruzione dell’indice del manoscritto della disputazione De Deo uno:
Disputatio prima (Utrum possit demonstrari ratione naturali, aut evidenti Deum existere, et utrum id sit per se notum in nobis)
f. 1 – Caput 1 (De significatione nominis Dei)
f. 5 – Caput II (Expositio terminorum nominum seu quasi definitionem Dei dictarum secundum affirmationem et negationem)
f. 5 – § 1 (De methodo utenda in expositione horum terminorum)
f. 11 – § 2 (Explicatio definitionis entis realis per rationes intentionales, seu per genus entis intentionalis)
f. 24 – § 3 (Alia definitio, seu circumlocutio brevior, facilior, et subtilior entis realis)
f. 42 – Caput III (Demonstratio prima de existentia Dei significati nomine carentis omni defectu)
f. 51 – Caput IV (Demonstratio secunda existentiae Dei significati nomine entis in quo existit cumulus omnium perfectionum simpliciter simplicium)
f. 63 – Caput V (Proponitur compendium demonstrationis S. Thomae, et omnium quaestionum a tertiam usque ad undecimam deductum ex dictis)
f. 65 – Caput VI (Brevis explicatio demonstrationum Divi Thomae de existentia Dei)
f. 75 – Caput VII (Demonstratio pulcherrima, quare repugnet mysterium Trinitatis in creatis, et identitas realis perfecta separata ab identitate virtuali intrinsece, et quare non possit demonstrari Trinitas naturali, ratione, et quomodo possit demonstrari non esse negandum)
Il titolo della disputazione nell’edizione a stampa è lievemente diverso: «Utrum possit demonstrari ratione naturali, aut evidenti Deum existere, et utrum sit nobis notum per se». Nell’edizione a stampa la disputazione De Deo uno è suddivisa in otto capitoli. Come si può notare, invece, la versione manoscritta contiene soltanto sette capitoli. La discrepanza tra il manoscritto e l’edizione a stampa inizia al f. 35 (p. 6b dell’edizione a stampa), laddove la frase «Deducitur ex dictis explicatio coeterorum terminorum definitionis, seu quasi definitioni Dei» è stata utilizzata come titolo introduttivo di un ulteriore capitolo, rispetto a quelli previsti dal copista.
[1]Hugo Hurter S.J., Nomenclator literarius theologiae catholicae, [5 voll.], Libreria academica wagneriana, Oeniponte 1907 (editio tertia plurimum aucta et emendata), vol. III, p. 921. Citato anche da R.G. Villoslada S.J., Storia del Collegio romano dal suo inizio (1551) alla soppressione della Compagnia di Gesù (1773), «Analecta Gregoriana», vol. 66, sect. A, n. 2, 1954, p. 221.
Nel mese di giugno 2014 sono stati visionati quattro manoscritti, riportanti alcune opere teologiche e filosofiche di Antonio Pérez Valiende de Navas S.J. Nato in Spagna a Puente de la Reina nel 1599, entrò nella Compagnia di Gesù a Pamplona il 13 marzo 1613 e iniziò il noviziato presso il seminario di Villargarcía, presso Valladolid. Frequentò il triennio filosofico a Medina del Campo (1615-1618) e la teologia a Salamanca sotto l’autorità di Pedro Hurtado de Mendoza, di Benito de Robles, Valentin de Herice e Bernabé de Matute. Sotto la direzione di quest’ultimo difese le sue prime tesi di teologia il 30 novembre 1621. Prima di iniziare la carriera di docente, si dedicò all’attività missionaria in Castiglia e difese il suo acto menore il suo acto mayor di teologia tra il 1623 e il 1624[1].
Dal 1625 al 1628 iniziò a insegnare la filosofia al Collegio San Ambrosio di Valladolid. Di tale insegnamento rimangono – salvo nuove scoperte – solo due copie delle Disputationes in octo libros physicorum Aristotelis, delle quali si conserva una copia proprio presso l’Archivio dell’Università Gregoriana con la segnatura CURIA F.C. 1396rec. La condizione del manoscritto è piuttosto critica, soprattutto per quanto riguarda le ultime pagine, cancellate da macchie di umidità. Si tratta di un manoscritto composto da più mani, almeno due, e di difficile leggibilità, anche a causa della grafia dei suoi estensori. Si potrebbe sopperire alle difficoltà nella decifrazione del contenuto confrontando il Ms. 1396rec con la copia presente nella biblioteca della facoltà teologica di Burgos, come del resto ha già fatto Jacob Schmutz nella sua tesi dottorale del 2002[2], proponendo un’edizione non definitiva di alcune parti della disputatio 8, nella quale Pérez dà una prima elaborazione della dottrina connessionista.
Nel triennio 1628-1631, Antonio Pérez tornò a Salamanca, università nella quale gli venne assegnata la terza cattedra di teologia. Di quell’insegnamento ci rimane, tra le altre, copia dell’opera manoscritta Ad quaestionem 14 primae partis S. Thomae disputationum de scientia Dei, presente anche nell’Archivio dell’Università Gregoriana con la segnatura CURIA F.C 1601rec. L’opera risalirebbe, secondo Jacob Schmutz, probabilmente al corso tenuto nel 1630. Si tratterebbe, dunque, di un’opera giovanile che i discepoli di Pérez, tra i quali Martin de Esparza, ritennero meritevole di dare alle stampe all’interno del primo volume degli scritti postumi di Pérez, intitolati Opus posthumum. Il testo verrà visionato in modo accurato nei prossimi mesi e confrontato con l’edizione a stampa.
Dopo il triennio di docenza a Salamanca, Pérez rimase per tre anni a Valladolid per tornare nuovamente a Salamanca per circa sette anni dal 1634 al 1641, prima di sostituire il celebre Juan de Lugo, divenuto cardinale, sulla cattedra di theologia scholasticaal Collegio Romano, presso il quale rimarrà dall’autunno 1641 fino al 1648, quando verrà sostituito – ufficialmente, a causa dell’oscurità delle sue lezioni – dal suo allievo Martin de Esparza e rimandato in Spagna dove morirà in solitudine il 2 marzo 1649.
Dei manoscritti risalenti all’insegnamento degli anni romani, sono stati visionati due manoscritti, in particolare:
– Il manoscritto intitolato Definitiones et axiomata in 1am, 2am et 3ampartem D. Thomae (CURIA F.C. 170) che Jacob Schmutz segnala come presente al Collegio Romano fino al 1773, ma del quale sembravano essersi perse le tracce fino almeno al 2002. Una ricognizione del testo ha permesso di retrodare il manoscritto al XVII secolo, rispetto alla catalogazione precedente. Il manoscritto riporta sicuramente dottrine di Antonio Pérez. A titolo esemplificativo, nel testo troviamo una definizione di perfectio immanens (f. 4v, def. 22) sostanzialmente identica a quella presente nel primo volume dell’Opus posthumum (cfr. pp. 132b-133a, n. 135). Troviamo anche due definizioni del concetto di verificativum che rappresentano una delle dottrine più originali e più discusse di Pérez, fino al XVIII secolo inoltrato (f. 3v, def. 9; f. 50v, def. 12). In sostanza, le definizioni e gli assiomi raccolti nel manoscritto 170 sono tratti dai due volumi dell’Opus posthumum di Pérez o dai relativi manoscritti[3]. L’opera risale quasi certamente a un periodo successivo al 1640. Da quanto attesta Schmutz, Pérez inizierebbe a utilizzare sistematicamente il termine verificativum a partire dal trattato De existentia et attributis divinis conservato alla Biblioteca di Salamanca e risalente al 1640[4].
– Tractatus de Deo trino et uno R. P. Antonii Perez, Firmi, Romae 1648-1656 (CURIA F.C. 542rec). Di questo manoscritto Jacob Schmutz non dà notizia. Con buona probabilità si tratta del manoscritto che testimonia l’ultimo periodo di docenza di Antonio Pérez presso il Collegio Romano (1642-1648). Il manoscritto è ben conservato e ben leggibile. Quasi sicuramente si tratta della copia che venne affidata dagli allievi di Pérez alla tipografia di Angelo Barnabo dal Verme per l’edizione del primo volume dell’Opus posthumum, datato 1656 (data che compare anche nel frontespizio del manoscritto). Il testo del Tractatus de Deo trino et uno, infatti, costituisce quell’insieme di disputationes che aprono l’Opus posthumum di Pérez e rappresenta uno strumento fondamentale per comprendere il testo dell’edizione a stampa, costellato di frequenti lacune testuali e di refusi tipografici. Tra l’altro, una prima ricognizione del testo della disputatio 1 (De Deo uno) del Tractatus e un primo confronto con l’Opus pothumum hanno messo in luce una certa difformità del manoscritto rispetto all’edizione a stampa, nella quale non sarebbero state riprodotte diverse pagine, anche se è da escludere che questo sia avvenuto per motivi legati alla censura. Più probabile invece che si sia deciso di escludere alcune pagine particolarmente oscure.
La struttura dell’opera manoscritta è la seguente:
f. 1 – De Deo uno– disputatio I
f. 91 – De visione Dei– disputatio II
f. 272 – Disputatio III ad quaest. De scientia dei
f. 451 – Disputatio IV, Continens illationum de natura, et proprietatibus praedestinationis divina
f. 462 – Disputatio V, De voluntate Dei
f. 482 – Disputatio ultima, Continens compendium materiae de Trinitate
[1] Le notizie biografiche raccolte in questa nota sono riprese da J. Schmutz, La querelles des possibles. Recherches philosophiques et textuelles sur la métaphysique jésuite espagnole, 1540-1767, [3 tt.], (Tesi di dottorato), Bruxelles-Paris, t. II, pp. 711-717.
[2] Ivi, pp. 721-741.
[3] A. PÉREZ, In primam partem D. Thomae tractatus V. Opus posthumum, typ. Angelo Bernabo dal Verme, Roma 1656; Id., In secundam et tertiam partem D. Thomae tractatus sex, typ. Laurentii Arnaud et Petri Borde, Lione 1669.
[4]J. Schmutz, La querelle des possibles, op. cit., p. 486, nota 90.
Cher Père,
Merci. Le commentaire est molto interessante. Joblin
Il giorno 13 gennaio 2016 10:02, Archives of Pontifical Gregorian