
Lungi dall’essere degli scrittori, che fondano un luogo proprio, eredi dei lavoratori d’un tempo ma sul terreno del linguaggio, scavatori di pozzi o costruttori di case, i lettori sono dei viaggiatori; circolano su territori altrui, come nomadi che praticano il bracconaggio attraverso pagine che non hanno scritto.
Michel de Certeau, L’invenzione del quotidiano.
Il ritrovamento del Memoriale di Pierre Favre nell’Archivio della Gregoriana è stata un’occasione per iniziare una riflessione sulle diverse operazioni di appropriazione di questo testo. La scrittura, come si ricorda nel Fedro, ha qualcosa di terribile (δεινὸν). È davanti a noi come se fosse qualcosa di vivo ma se viene interrogata rimane in un maestoso silenzio:
Perché vedi, o Fedro, la scrittura è in una strana condizione, simile veramente a quella della pittura. I prodotti cioè della pittura ci stanno davanti come se vivessero; ma se li interroghi, tengono un maestoso silenzio. Nello stesso modo si comportano le parole scritte: crederesti che potessero parlare, quasi che avessero in mente qualcosa; ma se tu, volendo imparare, chiedi loro qualcosa di ciò che dicono, esse ti manifestano una cosa sola e sempre la stessa. E una volta che sia messo in iscritto, ogni discorso arriva alle mani di tutti, tanto di chi l’intende tanto di chi non ci ha nulla a che fare; né sa a chi gli convenga parlare e a chi no. Prevaricato ed offeso, oltre ragione, esso ha sempre bisogno che il padre gli venga in aiuto, perché esso da solo non può difendersi né aiutarsi.
Platone, Fedro (275d-e)
Questa orfanilità della scrittura rende possibile una varietà di appropriazioni. Potremmo dire che il testo esiste considerato in quanto comunicazione, nella misura in cui qualcuno lo riceva (ascolti, legga) e comprendendolo generi una nuova comunicazione. Noi lo sappiamo (o almeno possiamo saperlo), leggiamo a partire da determinate distinzioni. Tutto nasce da una distinzione: “traccia una distinzione affinché il mondo cominci ad essere”. Traccia una distinzione e il testo apparirà innanzi ai tuoi occhi, potremmo dire parafrasando G. Spencer-Brown (Laws of Form, 1969). Alla luce di questo imperativo (draw a distinction), la lettura può essere anche vista come un’operazione autoreferenziale. Anche il Memoriale ha vissuto grazie a certe appropriazioni. Attraverso di esse è possibile seguire diverse operazioni di bracconaggio di questo testo. Da quali distinzioni fu letto? Potrebbe essere la domanda di uno storico interessato a percorrere il sentiero inverso sul quale normalmente transitano i suoi colleghi. La ricerca storica spesso si interessa dell’autore e dell’analisi dei testi piuttosto che considerare l’attività lettrice. Lo spostamento del punto di osservazione, dalla produzione alla ricezione, implica decentrare l’interesse che transita dal proprietario di casa ai suoi attuali inquilini. Il quesito potrebbe trovare un sentiero verso le risposte seguendo alcune riflessioni di Michel de Certeau sulla lettura descritta come una caccia di frodo 1.
La battuta di caccia al testo si organizza attorno a diverse aspettative. Da esse sorgono le varie domande, secondo determinate distinzioni. Questa battuta di caccia non è l’attività solitaria di un cacciatore-lettore ma l’inseguimento di tutta una repubblica di lettori che riceve il testo. In questo senso, la domanda che apriva lo studio di Michel de Certeau riguardo la possessione di Loudun –ciò che ritorna è una irruzione o una ripetizione del passato?– ottiene una risposta nel registro dell’appropriazione. Alla stregua di Roland Barthes, Michel de Certeau delinea ciò che lui chiama l’apologia dell’impertinenza del lettore, che lo porta ad adottare diverse posizioni davanti al testo e di usarlo per finalità forse non previste. Una lettura irrispettosa –come direbbe Barthes– che porta a tagliare il testo, a innamorarsi di lui, a infatuarsene. Con una serie di operazioni di riuso si costituisce il testo-lettura. Questa testualità spesso rimane però nell’ombra, perché da secoli, e ancora oggi, quello che si impone è uno smisurato impero dell’autore, proprietario eterno del testo. E così, i poveri lettori non avrebbero altro compito che cercare le pulsioni dell’autore, le sue intenzioni, i suoi limiti. Come Sisifo, saranno sempre destinati alla impossibile ricerca per scoprire ciò che l’autore ha voluto dire, tralasciando ciò che i lettori hanno capito e prodotto. Una possibile ricerca sarebbe considerare la storia delle appropriazioni del Memoriale.
Il Memoriale: un manoscritto indecifrabile
Il Memoriale diventa indecifrabile e oscuro. Dopo quasi tre secoli il testo di Pierre Favre torna in superficie, una lettera (18.02.1843) di Padre Sébastien Fouillot SJ (1798-1877) al superiore generale dei gesuiti, Jan Roothan (1785-1853), dà conto di questa riemersione.
Fouillot ricorda nella lettera come il P. Nicholas Tuite MacCarthy (1769-1833), al suo ingresso nella Compagnia (1817), aveva portato con sé un codice del Memoriale che consegnò, nelle mani del suo maestro di novizi P. Pierre Roger. Il codice gli era stato dato in dono da suo padre Justin MacCarthy Reagh (1744-1811), conte de Jepperary, possessore di una delle biblioteche private più importanti della Francia del XIX secolo. Il Memoriale, sotto lo sguardo di quegli uomini, appariva come un libro indecifrabile.
Nei giorni convulsi delle Trois Glorieuses, come è stata denominata la seconda Rivoluzione francese (1830), Fouillot, che aveva dovuto lasciare la sua residenza a Montrouge, decise di tornare per ricuperare il prezioso codice. La residenza era stata saccheggiata dai rivoluzionari alla ricerca di armi nascoste. Una volta entrato nella camera del P. Roger la vide sottosopra. Tra un mucchio di carte e di quaderni sparsi per terra, trovò il manoscritto del Memoriale. Si armò quindi di pazienza per poter decifrare la prima parte, che secondo lui era la più oscura.
In un primo momento pensò di avere tra le sue mani l’autografo del Memoriale per poi capire che si trattava di una copia coeva e autorevole. Fouillot –all’epoca istruttore del terzo anno di probazione, periodo con il quale si chiude la formazione del gesuita– decise di inviare il Memoriale a Roma, con una trascrizione, accompagnato da una sua lettera. La sua intenzione era di utilizzarlo durante il terzo anno di probazione. Per questo, chiedeva al suo superiore generale se fosse opportuno lasciare il testo nella sua semplicità incorretta oppure, modificare alcune espressioni di troppa bassa latinità sostituendole con forme equivalenti più corrette, senza alterare le costruzioni delle frasi, perfino di quelle più trascurate, qualora si capisca il senso, affinché l’opera non perda il suo proprio colore. P. Roothan gli concesse di correggere quelle paroles par trop barbares. Ma al di là delle questioni linguistiche e di stile, il testo doveva essere comunque assolutamente ritoccato. Per Roothan, il Memoriale di Favre conteneva alcune riflessioni splendide, ma essendo totalmente personali sono meno interessanti. Fouillot realizzò dalla sua trascrizione una serie di copie per uso interno utilizzando la tecnica della stampa litografica. Posteriormente fu pubblicato da Marcel Bouix SJ nel 1873 e poi da lui tradotto in francese nel 1874.
Nuove battute di caccia
Nel 1914, un secolo dopo della Restaurazione della Compagnia di Gesù, nei Monumenta si editarono una serie di documenti di Pierre Favre. Per il Memoriale furono utilizzati due codici dei sedici esistenti. Un articolo dei gesuiti Fernández Zapico e Pedro de Leturia, publicato nel 1944, costituisce una specie di bilancio del primo secolo dei Monumenta4. Gli autori segnalavano che l’operazione editoriale dei Fabri Monumenta, pur riconoscendo un certo progresso riguardo le precedenti edizioni, non era sufficientemente critica giacché mancante di un’adeguata collazione tra i diversi manoscritti. A questo aggiungevano la povertà del commento storico che accompagnava l’edizione. Queste imperfezioni, secondo gli autori, erano conseguenza della fretta per assicurare la consegna del fascicolo che, all’epoca, era mensile e di 160 pagine. Dopo questa iniziativa editoriale, il Memoriale sprofonda nuovamente nell’oblio.
All’incirca cinquant’anni dopo l’edizione di Monumenta, sotto l’impulso illusorio del ritorno alle fonti di quei anni, fu lo stesso Michel de Certeau a iscriversi nell’elenco dei cacciatori di frodo. In un piccolo, ma potente articolo, pubblicato nella Revue d’ Ascetique et Mystique (1960) evidenziava quanto la scrittura del Memoriale si fosse disseminata, circolando in forma manoscritta, e quanto fosse orfana, giacché l’autografo è inesistente. A partire di questa assenza originaria, de Certeau stabilisce una prima recensio per poter ricostruire lo stemma codicum. Con la sua edizione del testo, tradotto al francese, nella collezione Christus (1960), il Memoriale cominciò a circolare in una zona franca, non ben delimitata tra i saperi, che a partire da quegli anni comincia a conoscersi con il nome di “spiritualità”. Michel de Certeau allora riteneva che il mestiere dello storico e del filologo gli aveva permesso “di arrivare a conoscere [in Pierre Favre] un uomo vero“2. Qualche anno dopo, per lo storico francese, i contorni degli antichi gesuiti si offuscheranno e con loro le origini, in quanto meta da raggiungere dallo storico, che si convertiranno per lui nel mito delle origini. La “spiritualità”, per de Certeau, comincia a delinearsi come uno spazio tradito: “Considerata nel suo principio, come il termine di un ritorno, sarebbe uno spirito originale, già tradito da tutto il suo linguaggio iniziale e compromesso dalle sue interpretazioni ulteriori, in modo che, non essendo mai là dove è detta, sarebbe dunque l’inafferrabile e l’evanescente”3.
Questo spazio euristico non controllato e altamente polisemico della “spiritualità”, ha favorito di recente, la possibilità che certi temi, che orientano la comunicazione politica o religiosa, indirizzassero anche le appropriazioni, non tanto del testo del Memoriale, che passerebbe ad un secondo piano, ma della persona Pierre Favre intesa come una costruzione di un ruolo sociale. Il testo diventa una reliquia, lo si venera, ma non lo si legge più. Passa ad integrare la collezione di oggetti che appartenevano al santo. Questa operazione sarà funzionale per liberarsi non solo da un testo, ma soprattutto dalle complessità che potrebbero generarsi osservandolo da un punto di vista filologico o storico. In questo modo, sarà possibile, per esempio, ricostruire senza vincoli testuali né interpretativi la figura di Pierre Favre. Per esempio, nonostante che per lui, dopo il fallimento dei colloqui di Ratisbona (1541), le parole non bastino più nei confronti degli eretici, potrà essere presentato come fautore del dialogo ecumenico alla stregua del Concilio Vaticano II.
Il mondo è arrivato a una tale miscredenza che sono necessari argomenti di opere e di sangue […] parole e ragione non bastano ormai per convincere questi eretici […]
Fabri Monumenta, p. 105
Per compiere questa appropriazione analogica, limitante dal punto di vista conoscitivo, ma per lo stesso motivo utile per garantire ampi consensi, si colloca Pierre Favre nello spazio della familiarità. In quest’ultimo spazio potrebbe inserirsi la sua recente canonizzazione (2013) la quale ha implicato una nuova riemersione. Questa costruzione dell’ambiente familiare per conoscere implica tracciare una distinzione tra familiare/non familiare. Come ogni distinzione segnala una delle due parti della distinzione. In questo caso la familiarità servirebbe per stabilire un’analogia tra i tempi del Favre e i nostri.
Altre ricerche potrebbero operare con l’altro lato della distinzione, il non familiare, e descrivere la differenza tra i regimi di temporalità; il presente del Favre, inteso come la dimensione nella quale si interpreta la realtà riguardo la differenza tra passato e futuro, ha ben poco a che fare con la nostra temporalizzazione. In questo caso, il testo si metterebbe in prospettiva per considerarlo a partire della estraneità che genera.
Chi fosse interessato a collaborare o semplicemente vedere il progetto del Memoriale può visitare questo link.
1 Michel de Certeau; L’invenzione del quotidiano (trad. P. de Cori);
2 Dosse, F. El caminante herido, p. 100.
3 Michel de Certeau; La debolezza di credere (trad. S. Morra), Città Aperta, 2006; p.52;
4 Fernández Zapico, D.; Leturia, P.; Cincuentenario de Monumenta Historica S. I. 1894-1944; Archivum Historicum Societatis Iesu, 13 (1944).