Una ricerca d’altri tempi


Nel 1953 la Pontificia Università Gregoriana volle celebrare il quarto centenario dell’inizio delle scuole del Collegio Romano nella sua prima sede ai piedi del Campidoglio. Le relazioni furono pubblicate in un volume di Analecta Gregoriana (Problemi scelti di Teologia contemporanea, vol. LXVIII, Series Facultas Theologicae).

R.P. Prof. Juan Alfaro SJ (1914-1993)

Uno dei relatori che affrontò alcuni di questi “problemi scelti di teologia contemporanea” gettò uno sguardo lungo e intraprese una “discesa” nell’archivio della Gregoriana. Si tratta del gesuita Juan Alfaro, professore della Facoltà di Teologia dal 1952 al 1988. Questo lavoro di Alfaro si centra sulla problematica del “progresso dogmatico” in Francisco Suárez: “difficile problema -dice il teologo gesuita- che continuerà gravitando ancora durante molto tempo, forse per sempre, nel pensiero e negli sforzi dei teologi”. Per affrontare la questione, Alfaro prende in considerazione il codice FC 452. Partendo dalla materialità del codice (misure, quantità di fogli, pagine in bianco) effettua una precisa descrizione esterna, fino a rilevare con attenzione minuziosa le date in cui furono scritte le diverse parti dei trattati De Fide, Spe et Charitate di Suárez¹. L’articolo è intessuto di una importante quantità di trascrizioni del prezioso codice. È opportuno ricordare che lui, come tanti altri professori di teologia che si curvavano sui vecchi codici, non aveva nessuna preparazione specifica per la lettura dei manoscritti, ma disponevano di tempo e volontà.

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FC 452

Sarebbe interessante poter ripercorrere il lavoro intellettuale di Alfaro partendo da queste sue considerazioni riguardo la scolastica suareziana al suo insegnamento e riflessione sulla “esistenza cristiana” alla luce del Vaticano II. Un buon inizio per realizzare questo percorso potrebbe essere la lettura dell’articolo di Carmen Aparicio Valls (qui).

Quello che vorrei mettere in rilievo è il fatto che l’archivio, per molti professori della Gregoriana, era un luogo ove poter trovare materia per le loro riflessioni. I registri del prestito testimoniano, non solo i nomi di quelli che frequentarono l’archivio, ma gli interessi che guidavano le loro ricerche (qui).

Il risultato di queste esplorazioni archivistiche faceva parte di un circuito lungo del pensiero e si riversava nell’insegnamento e nelle pubblicazioni, così come lo testimoniano diversi articoli apparsi nella rivista Gregorianum.  Per affrontare il “contemporaneo” molti di questi uomini credevano che era possibile trovare nei codici dei loro predecessori argomentazioni ancora funzionali alle preoccupazioni del loro presente. Questi testi del passato, per loro, erano come se non fossero mai passati. Almeno fino a un determinato momento, nella loro concezione della storia, certi discorsi di verità non erano soggetti al flusso del tempo. Le distinzioni di Francisco Suárez come revelatio formalis e revelatio virtualis implicavano, da una parte, un progresso nell’ordine delle distinzioni teologiche e, paradossalmente, un’acquisizione che poteva ancora illuminare l’argomentazione teologica quattro secoli dopo, come se il progresso riconosciuto si fosse fermato.

A partire dagli anni sessanta la presenza gesuitica nell’archivio diventa rara e occasionale. Come mai, a poco a poco, questi codici sono diventati inintelligibili ? Come mai il valore dato a questo patrimonio plurisecolare muta in materiale “senza importanza”, come se l’importanza del materiale si radicasse nella cosa in sé e non negli occhi di chi guarda ? Come mai dalla fruizione si è passati a una specie di musealizzazione dei codici ?

Lo sguardo dello storico deve interrogarsi sul perché del distacco dei gesuiti dai codici provenienti dal Collegio Romano, ai quali si potrebbero attribuire, oltre al suo valore scientifico, un legame affettivo con i fondatori dell’Università Gregoriana. Come l’ha ricordato Jacques Derrida, l’archivio fa riferimento tanto all’arche, principio di autorità, e quindi luogo degli arcontes, quanto all’inizio-cominciamento. Precisamente nella seconda metà del secolo scorso inizia un movimento che cerca di distaccarsi della figura dell’autorità al punto di arrivare al suo disconoscimento e prospetta un’illusione di godimento assoluto e immediato slegato da ogni vincolo. Nella società di consumo la figura del padre entra nella dinamica dell’obsolescenza. Ma sono anche gli anni, per la Chiesa e per la Compagnia, del “ritorno alle fonti”, viaggio anche questo illusorio alla ricerca di un padre ideale quanto inesistente. Questi fattori, tra altri, innescano un processo, lento ma inesorabile, per il quale l’archivio sarà spinto nelle periferie della ricerca.

Le scosse cominciate a farsi sentire chiare e distinte nel XIX secolo, che hanno messo in discussione la dimensione magistrale della storia, sono arrivate, dopo i trascorsi drammatici delle due grandi guerre, a minare le certezze che prima si avevano riguardo la scrittura della storia. A questo sismo si sono aggiunte nuove linee di ricerca, come la historia concettuale (Begriffsgeschichte), con i suoi corollari ermeneutici che ancora oggi continuano a declinarsi. Questi mutamenti storiografici sono stati ulteriormente influenzati dai nuovi ritmi e modalità della ricerca.

Una nuova assiologia del lavoro intellettuale comincia a costruirsi in quegli anni e porta a una velocizzazione crescente nella ricerca col solo fine di produrre di più e in breve tempo. Intorno agli anni ’60, soprattutto in ambito scientifico, s’impone l’assioma “public or perish”².  Questa concezione si costituisce grazie a una serie di innovazioni tecnologiche che si imporranno con i loro ritmi e criteri, tra cui l’importanza della visibilità.  Molti di questi risvolti furono già denunciati da Max Horkheimer e Theodor W. Adorno nella loro critica alle “industrie culturali” in quanto “fabbrica del consenso”. Anche parte della produzione universitaria, nel cosiddetto ambito umanistico, dovrà adeguarsi a un “mercato” ed essere “consumata”. La tossicità messa in atto da un certo uso delle tecnologie assicura la povertà di quella produzione e allo stesso tempo riesce a consolidare la morte della funzione critica della cultura.

L’esperienza che faticosamente ha intrapreso l’archivio con la creazione della piattaforma GATE, per l’edizione critica di testi, potrebbe essere una possibilità per riscattare questo patrimonio e assicurargli nuove narrazioni, per includerlo in una visione genealogica della storia: “On ne ressuscite pas les vies échouées en archive. Ce n’est pas une raison pour les faire mourir une deuxième fois. L’espace est étroit pour élaborer un récit qui ne les annule ni ne les dissolve, qui les garde disponibles à ce qu’un jour, et ailleurs, une autre narration soit faite de leur énigmatique présence”. (Arlette Farge, Le goût de l’archive). Con alcuni liceali romani stiamo provando a stabilire un crocevia nel quale il materiale proveniente di altre generazioni possa incontrare un milieu tecnologico che in questo caso funzioni come rimedio portentoso per fermare la “distruzione creatrice”, che in qualche modo aiuti nel processo di consolidamento delle protensioni collettive che procedono in maniera intergenerazionale e transgenerazionale. Grazie a questi entusiasti giovani forse questa documentazione non avrà una seconda morte.


¹Per informazioni dettagliate sul manoscritto è possibile consultare il catalogo qui .

²Sull’origine misterioso di questo “dogma” vedere qui .

5 risposte a "Una ricerca d’altri tempi"

  1. Nell’Archivio storico ci sono opere del padre J.J. Surin? In Italia, l’unica pubblicazione che conosca è “Guida Spirituale”.
    In Francia, il padre De Certeau aveva curato l’edizione critica della Correspondançe. Ci sono altri scritti del padre Surin: Catechismo spirituale (in quattro tomi) – Dialoghi spirituali. Di questi si trova copia nell’Archivio storico della Compagnia?
    Il padre De Certeau aveva iniziato questa ricerca d’altri tempi, in Francia, adatta per questi nostri tempi. In Italia si potrà far conoscere questo versante spirituale e\o mistico della Compagnia, proprio a partire da un approccio storico?
    Grazie. Carmelo Guarini, presbitero

    1. Gentile Presbitero Guarini, per ciò che concerne la sua ricerca l’ho segnalata ai miei collaboratori in modo che possano darle una risposta strutturata. Indubbiamente i lavori di Michel de Certeau restano una pietra miliare riguardo a Surin.
      Un saluto cordiale
      Martín M. Morales SJ

  2. Carissimo Martin e carissima Irene,

    è davvero inquietante questo imperativo public or perish richiamato nell’articolo, attuale come mai.

    Vi leggo sempre e sempre qualcosa imparo, grazie.

    Un abbraccio ad entrambi

    Melania

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